L'ultimo atto terroristico contro l'occidente
La strage che ha insanguinato la redazione del “re dei provocatori”, così chiamato fin da quando durante i mandati di Charles De Gaulle si faceva chiamare “Hara Kiri Hebdo”, era diretta a piegare e a tacere il simbolo della libertà d’espressione in Francia.
“Journal bète et mechant”. Giornale stupido e cattivo, recitava lo slogan della rivista satirica Charlie Hebdo negli anni Settanta. La strage che ha insanguinato la redazione del “re dei provocatori”, così chiamato fin da quando durante i mandati di Charles De Gaulle si faceva chiamare “Hara Kiri Hebdo”, era diretta a piegare e a tacere il simbolo della libertà d’espressione in Francia. Charlie Hebdo è la “Bête Noire”, la bestia nera dei fondamentalisti islamici. “L’onore della Francia è stato salvato da Charlie Hebdo”, aveva scritto Bernard-Henri Lévy quando il settimanale satirico ripubblicò le vignette danesi su Maometto, mentre tanti benpensanti gongolavano sull'“islamofobia” di quelle caricature. Da allora, Charlie Hebdo è al centro di tutte le pressioni subite dall’occidente in questa guerra sulla libertà di parola. Una pressione fisica, prima di tutto, come ha dimostrato la carneficina. La sede del giornale era già stata infatti incendiata con alcune bombe molotov. Ma è una pressione anche politica e legale.
Charlie Hebdo è sopravvissuta a un processo in grande stile intentato contro la rivista dal Consiglio francese del culto musulmano (un tribunale scagionò il magazine). “Un processo medievale” disse l’allora direttore di Charlie Hebdo Philippe Val. “E’ normale che una religione sia sottoposta a critica e rientri nel dibattito democratico. La nostra arma per opporci alla minaccia integralista è la penna. Ci chiedono di deporla”. Avendo capito quanto alta fosse la posta in gioco, Charlie Hebdo venne difeso anche da Libération con Laurent Joffrin: “Non sono le parole a ferire o le vignette a uccidere, sono le bombe”. E' la sottomissione.
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