Mirino sul Nazareno
Renzi, Berlusconi, i ribelli. Che c'entra l'Italicum con la partita del Quirinale
I calcoli dei dissidenti, i riflessi sul dopo Napolitano e i numeri che ballano. Gotor: “Niente disciplina di partito”.
Roma. Prima le date. Poi il cinema. Le date ci dicono questo. Che dalla prossima settimana comincerà una grande partita politica, fatta di alleanze incrociate, veti trasversali, bluff e contro bluff, che ruoterà attorno al destino della legge elettorale. Martedì sera alle 20 scade il termine per la presentazione degli emendamenti. Tra mercoledì e giovedì verranno votati gli emendamenti. E tra mercoledì 21 e giovedì 22 l’Italicum, salvo sorprese, arriverà al voto di Palazzo Madama, come promesso dal premier, che considera l’approvazione della legge elettorale prima dell’elezione del successore di Napolitano un passaggio importante per testare la solidità del patto del Nazareno. Le date ci dicono questo. Il governo ostenta fiducia. I ministri dicono che la partita è chiusa. Che l’accordo c’è. Che le minoranze non fanno paura. Che Forza Italia non farà scherzi. E che tutto, alla fine, filerà liscio come l’olio. La geografia politica di Palazzo Madama ci dice però che le cose sono più complicate, che le minoranze dei partiti sanno che questa è l’ultima occasione per mostrare che Renzi da solo non ha i numeri per fare nulla e gli avversari del patto del Nazareno si nascondono nei dettagli. E qui comincia il cinema. La minoranza del Pd, da sola, ha presentato quattordici emendamenti all’Italicum e il numero di firme presenti in calce ai testi dice che la dissidenza certificata all’interno del gruppo del Pd è maggiore del previsto (si oscilla da un minimo di 25 a un massimo di 38). Vale circa un terzo del gruppo Pd al Senato e ha fatto della battaglia sulla legge elettorale un punto di orgoglio politico. “Ci sono principi sacrosanti all’interno dell’Italicum – dice Miguel Gotor, senatore Pd, bersaniano, punto di riferimento importante della minoranza dem a Palazzo Madama – ma ci sono anche molti punti che vanno urgentemente cambiati. E dato che sulla legge elettorale è il Parlamento sovrano, e non il governo, è ovvio che non ci potrà essere alcuna disciplina di partito. Si vota secondo coscienza, e mi auguro che il presidente del Consiglio abbia la sensibilità di non chiedere di ritirare alcun emendamento: anche perché noi non lo faremo”. Gli emendamenti che hanno raccolto più firme sono quelli sui quali potrebbe convergere un pezzo importante del gruppo del Senato non solo di area Pd.
Il primo chiede di portare al 25 per cento la quota dei capilista bloccati (dal 60 per cento che è oggi) e al 75 per cento la quota destinata alle preferenze (che oggi è intorno al 40 per cento). Il secondo chiede di consentire gli apparentamenti tra le liste anche dopo il primo turno, cosa non prevista oggi dall’attuale versione dell’Italicum, e questa formula potrebbe ingolosire quella parte di Forza Italia (e della Lega) che ha sempre sostenuto che per dare un futuro al centrodestra è necessario lavorare più sulla logica di un premio alla coalizione che non alla lista. Ma in quel “noi” sussurrato da Gotor c’è qualcosa in più della semplice resistenza Pd. Ci sono una serie di numeri che la minoranza di Forza Italia, area Fitto, e la minoranza del Pd, al Senato coordinata da Maurizio Migliavacca, ex bersaniano, in contatto con Fitto, hanno cominciato a mettere insieme. I 15 senatori di Gal. I 18 senatori di Forza Italia che rispondono a Fitto. Una decina di senatori berlusconiani che sognano di far saltare il patto del Nazareno. Circa 10 senatori di Ncd che chiedono un maggior numero di preferenze (da Azzolini a Gentile passando per Formigoni). E sommati ai 30 del Pd si arriva a circa 70 unità. “Dubito – dice al Foglio il senatore del Pd Stefano Esposito, area giovani turchi, buoni rapporti con Renzi – che con il voto palese qualcuno nel Pd possa avere il coraggio di andare contro le indicazioni della maggioranza. Sarebbe molto grave. Sarebbe come voler dire che si sta preparando un altro progetto politico. Così come sarebbe grave che la minoranza Pd punti a giocare con la data delle dimissioni di Napolitano, sperando magari di prolungare i tempi della discussione dell’Italicum per farli accavallare con quelli delle dimissioni del presidente”. In questo gioco di bluff e contro bluff, spin contro spin (ieri mossa di Bersani: candidato Prodi al Quirinale), nervi contro nervi (sempre ieri, Mucchetti è stato scomunicato dal gruppo Pd per aver chiesto al premier di riferire in Aula sul 3 per cento della delega fiscale) la partita di Renzi può concludersi con un esito positivo in due casi. Nel primo, concede qualcosa alla minoranza, pur di far approvare l’Italicum in tempo per il Quirinale. Nel secondo tenta di forzare, sperando nel sostegno dei senatori di FI. Finora il secondo schema ha retto alla grande, e promette di reggere anche questa volta. A meno che, con un gioco di prestigio, Berlusconi – sapendo che Renzi non ha alternative all’appoggio di Forza Italia per eleggere il successore di Napolitano – non riesca a trovare un modo per far slittare la legge elettorale senza rompere il patto. Chissà.
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