#JeSuisKouachi e #JeSuisCoulibaly: ecco perché

Giuliano Ferrara

Una pena profonda e un’ammirazione per il loro fanatico coraggio mi legano ai nemici, ai fratelli Said e Sherif Kouachi e a Amely Coulibaly. In un certo senso, di origine cristiana, #JeSuisKouachi e #JeSuisCoulibaly. Hanno assassinato persone più o meno come me.

Una pena profonda e un’ammirazione per il loro fanatico coraggio mi legano ai nemici, ai fratelli Said e Sherif Kouachi e a Amely Coulibaly. In un certo senso, di origine cristiana, #JeSuisKouachi e #JeSuisCoulibaly. Hanno assassinato persone più o meno come me, libertini della mia razza culturale e civile, gente che disegnava e rideva e sbeffeggiava, con una tinta blasfema che non ho ma che comprendo perfettamente nella dismisura anarchica e fragile e folle del loro essere artisti in una società secolarizzata e nichilista. Hanno ucciso ebrei in un supermercato, poliziotti islamici e no, terrorizzato una città che amo come Parigi. Sono stati crudeli, osceni, e vengono da storie personali di militarizzazione della mente e del corpo che hanno qualcosa di belluino. Però pena e ammirazione mi vengono non da quella abbondanza di misericordia e di accoglienza che è diventata una pappa senza intimo rigore logico, senza giustizia linguistica, senza verità che non sia sentimentale. Non dal cuore ma dalla testa. Perché non è vero che tutto questo, come ha infelicemente detto François Hollande e come ripete lo stolto collettivo sul teatro mondiale della correttezza politica, non ha nulla a che fare con l’islam. Fosse vero, non avrei compassione mista ad ammirazione per questi, che non considero banditi, lupi solitari, terroristi, ma combattenti islamici, militanti della causa islamica, del diritto come sharia, come legge divina, del Corano come parola di Dio dettata a Maometto. Un generale egiziano fattosi presidente, forse il prossimo Sadat, ha detto il 1° gennaio ai suoi ulema che l’islam non solo c’entra, ma è centrale nella tragedia moderna del conflitto di civiltà, e che occorre una rivoluzione islamica nella umma contro l’islamismo codificato (ci fu una rivoluzione cristiana contro la cristianità e l’alleanza di trono e altare). Il presidente della Francia universalista e moderna ha detto il contrario, per stupido irenismo, mentre l’islamismo gli cominciava a esplodere in casa. Torquato Tasso, poeta epico, amava il colossale combattente islamico Argante e la sua lealtà verso la propria fede, la sua ferocia era nelle sue ottave squisite e insidiose il risvolto del coraggio e della vocazione finale al martirio, che Tancredi, eroe cristiano innamorato e alla fine disincantato, soddisfece in duello.

 

I dettagli meno multiculturali della storia tragica di Parigi sono come scomparsi. Ma non dal mio ricordo ricostruttivo e dalla riflessione dovuta intorno alla verità. Noi cristiani anonimi del dopo Concilio viviamo nel giardino di Armida, siamo immersi nelle mollezze dell’amore universale e dei diritti, blateriamo di libertà di espressione mettendo in luce la diversità tra la retorica latina e il pragmatismo anglosassone che giudica le libertà provocatorie della satira “stupide” (Tony Barber, Financial Times, e molti altri). Questi combattenti (enemy combatants) sono dei voyou, dei ragazzi di strada, incerti tra il rap dell’integrazione e la preghiera di conversione, e hanno scelto il loro e l’altrui destino, alla fine, in base a una predicazione cui si sono islamicamente sottomessi, in base a testi inequivoci dell’ortodossia sunnita, tra moschea e rete dell’islamismo politico. Hanno scelto di eseguire un ordine divino che impone di castigare la blasfemia come è accaduto a Charlie Hebdo, come accade con la miserabile sorte di Asia Bibi in un carcere pachistano, con la schiena di un blogger piena di frustate saudite: hanno scelto la morte degli altri, e la loro, in un rito cultuale di conversione e arruolamento, di esecuzione della legge coranica, al quale hanno saputo corrispondere fino alla fine nella follia della testimonianza di gioventù, uscendo allo scoperto e sparando all’impazzata davanti alla falange dei gendarmi di cuoio, oppure pregando alle cinque, ora del blitz, e correndo poi verso l’esecuzione nel negozio kosher dove la paura innocente dei clienti ebrei, compreso un bambino, era diventata la maledetta cauzione della loro scorreria urbana.

 

[**Video_box_2**]Sono dettagli importanti, sono il punto di vista che conta, più della rapida capacità di allineamento menzognero al mainstream politico islamo-conformista di un capo Hezbollah o di un presidente iraniano che si dissociano a sorpresa. Se li degradate a lupi, degradate voi stessi. Disconoscete il nemico. Non sarete mai capaci di combatterlo né di amarlo. Al posto del vangelo, libro eccelso, primitivo e terribile e selvaggio, metterete il prontuario della cultura del piagnisteo, una specie di ideologia che fa dello scontro di religione e di civiltà in atto una storiaccia di cronaca nera e di impazzimento terrorista.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.