Vignette e ipocrisia. Parla Flemming Rose

Giulio Meotti

Era una morte annunciata, quella di Stéphane Charbonnier, il direttore di Charlie Hebdo. Il suo nome era finito nella black list di al Qaida pubblicata sulla rivista Inspire insieme ad altri otto nomi. Uno è quello del giornalista danese.

Roma. Era una morte annunciata, quella di Stéphane Charbonnier, il direttore di Charlie Hebdo. Il suo nome era finito nella black list di al Qaida pubblicata sulla rivista Inspire insieme ad altri otto nomi. Uno è quello di Flemming Rose.

 

“Non intendo lasciare coloro che intimidiscono me e i miei colleghi decidere come vivrò la mia vita”, dice Rose al Foglio. Da quando ha deciso di pubblicare le vignette su Maometto sul giornale danese Jyllands-Posten, sulla testa di questo giornalista pende una condanna a morte che si autorigenera. La sua testa è finita sulla picca di una caricatura islamica. I talebani hanno offerto una ricompensa a chi lo ucciderà. L’ufficio di Rose al giornale è stato più volte evacuato per allarmi bomba.  Un suo omonimo ha cambiato nome, nella pacifica Danimarca, a scanso di equivoci. E quando Rose è stato invitato a parlare a Oxford, le forze d’intelligence britanniche misero su “la più grande operazione di sicurezza da quando la pop star Michael Jackson aveva visitato la ridente cittadina universitaria alcuni anni prima”.

 

Figlio della sinistra antiautoritaria e anticonformista, autore del nuovo libro “The tyranny of silence”, Rose si è formato accanto a dissidenti come Andrej Sacharov quando era il corrispondente da Mosca del suo giornale (anche la moglie di Rose, Natalia, è russa). “Sono molto pessimista sul futuro della libertà di parola”, dice Flemming Rose al Foglio. “Ovviamente sono felice che molti siano scesi a manifestare sostegno a Charlie Hebdo. Conoscevo molti dei vignettisti uccisi a Parigi e sono stato chiamato a testimoniare a loro favore in tribunale nel 2007. La mia paura oggi è che questa solidarietà non si tradurrà in decisioni reali o che la situazione cambierà. Lo abbiamo già visto: Madrid 2004, Theo van Gogh nel 2004, Londra 2005, il doppio attentato a Kurt Westergaard nel 2008 e nel 2010. Ogni volta grande solidarietà con le vittime, ma poi è sempre avvenuto il contrario. A parte Charlie Hebdo, nessun giornale europeo ha ripubblicato le vignette di Maometto dal 2008”. Rose indica un paradosso: “Quando hai una società che sta diventando sempre più multiculturale, sempre più multietnica e sempre più multireligiosa, e se pensi che la crescente diversità dovrebbe essere soddisfatta da meno diversità quando si tratta dei modi di esprimersi, io penso che sia un vicolo cieco per la democrazia. La storia insegna che quando cedi all’intimidazione, questa non si riduce in futuro, ma diventa sempre più grande”.

 

Flemming Rose, che a causa delle minacce di morte ha dovuto vivere per un lungo periodo negli Stati Uniti, indica un altro problema. “L’ipocrisia. Noi che pubblicammo le vignette siamo stati lasciati soli. L’avvocato personale di Jacques Chirac era in aula a testimoniare contro Charlie Hebdo”.

 

[**Video_box_2**]Secondo il giornalista che per primo in Danimarca pubblicò le vignette “blasfeme” sull’islam, la strage di Charlie Hebdo “sfida le democrazie nello stile più nauseante. E’ una terribile minaccia per la libertà di parola che è il fondamento della vera democrazia. Gli assassini di Parigi sinceramente credevano che gli esseri umani a Charlie Hebdo meritavano di morire a causa delle loro vignette offensive. Si sentivano giustificati dalla loro interpretazione dell’islam militante. Ma questi tragici eventi hanno anche esposto la nostra ipocrisia, le illusioni e l’evasione che assumiamo per mantenere la pace nel breve termine. Io ho assunto il posto di redattore culturale al mio giornale dopo anni come corrispondente estero a Mosca, dove sono stato con i dissidenti che nella società sovietica avevano la forza della loro fede nella libertà. La dura verità è che l’omicidio di massa di Parigi ha esposto l’ipocrisia anche di tutte quelle brave persone che dichiarano ‘Je Suis Charlie’. Purtroppo, i governi difendono le restrizioni alla libertà di parola per mantenere la pace e a evitare scontri tra i diversi gruppi. Nel 2004, Theo van Gogh è stato ucciso ad Amsterdam e il ministro olandese della Giustizia ha risposto dicendo che la sua vita avrebbe potuto essere salvata se l’Olanda avesse avuto leggi più severe sul discorso dell’odio. Vogliamo vivere in una tirannia del silenzio o difendiamo il diritto di offendere?”.

 

Emblematico il fatto che questa settimana il Jyllands-Posten, il giornale di Rose, sia stato l’unico quotidiano danese a non ripubblicare le vignette di Charlie Hebdo. Il direttore, Jorn Mikkelsen, ha detto che la decisione non è autocensura ma riflette la “speciale realtà” del giornale, con la sicurezza alzata ai massimi livelli. Flemming Rose la traduce così: “Abbiamo paura. Come ho imparato durante i miei quattordici anni come corrispondente in Unione sovietica, una dittatura si dissolve rapidamente quando dissipa la paura tra i suoi cittadini. Le dittature esistono perché le persone interiorizzano i limiti che le autorità impongono sulla società”.

 

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  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.