Ecco perché a Parigi sono stati gli americani. Le teorie del complotto in Turchia e Russia sono propaganda di stato
La teoria del complotto si fa verità, nella penisola anatolica, perché lo stesso presidente la rende tale: ci sono le spie occidentali dietro al massacro di Parigi, una riedizione in salsa internazionale del già penoso “i conti non tornano” di stampo grillino. Con la differenza, nemmeno troppo esile, che Erdogan è considerato uno dei leader dell’islam moderato al potere.
Milano. Recep Tayyip Erdogan vede riflessa nell’occidente la sua stessa ambiguità, come in uno specchio di cui lui però non nota la presenza. Il presidente turco ha mandato il suo premier, il solerte Ahmet Davutoglu, alla marcia di Parigi, domenica, perché quella era la piazza in cui i leader del mondo contro il terrorismo dovevano essere – lasciando a casa tutta la loro ipocrisia. Poi, a cordoglio silenzioso finito, Erdogan ha detto come la pensa: “La doppiezza dell’occidente è ovvia. Come musulmani non siamo mai stati dalla parte del terrore e dei massacri: il razzismo, l’odio, l’islamofobia sono la causa di questi massacri”. E ancora: “I colpevoli sono certi: i cittadini francesi hanno fatto questo attacco e i musulmani sono stati incolpati”. Eccola, la teoria del complotto che si fa verità, in Turchia, perché lo stesso presidente la rende tale: ci sono le spie occidentali dietro al massacro di Parigi, una riedizione in salsa internazionale del già penoso “i conti non tornano” di stampo grillino. Con la differenza, nemmeno troppo esile, che Erdogan è considerato uno dei leader dell’islam moderato al potere, un modello di riferimento, oltreché il principale interlocutore nella regione mediorientale nella gestione della crisi siriana.
Nel filone “sono state le spie occidentali”, che non hanno cercato né fermato gli stragisti di Parigi e quindi sono considerabili conniventi, si inserisce un’altra grande nazione, la Russia di Vladimir Putin. Il Cremlino ha inviato alla marcia della solidarietà il ministro degli Esteri, Sergei Lavrov, che ha anche fatto visita ai giornalisti di Charlie Hebdo sopravvissuti – i quali, ha scritto Anais Ginori su Repubblica, erano un po’ sorpresi di vedersi lì Lavrov, non esattamente un campione della difesa della libertà di stampa, ma alla solidarietà non si guarda in bocca, sotto il tappeto della grande manifestazione parigina si sono nascoste parecchie ipocrisie. Lavrov, dunque, ha svolto alla grande la missione parigina, ma mentre lui sfilava, in Russia si imponeva nel dibattito il dubbio complottardo: sono stati gli americani? Il Financial Times, che ha messo in fila i complottisti di governo, ricorda il titolo del dossier del tabloid russo Komsomolskaya Pravda: “Il sangue è stato sparso a Parigi per far sì che la vecchia Europa cadesse completamente sotto il potere dell’America”, seguito da interviste che segnalano ancora una volta “i conti che non tornano”, con relative spiegazioni. Secondo Alexander Zhilin, capo del Moscow Center for the Study of Applied Problems, centro studi vicino al Cremlino, l’attacco a Parigi è la risposta degli americani al presidente francese François Hollande che ha osato, il 6 gennaio scorso, dire che le sanzioni nei confronti della Russia dovrebbero essere allentate: Washington ha utilizzato l’attacco come “una rapida riparazione per consolidare” gli interessi europei e americani in Ucraina. Alexei Martynov, direttore del think tank International Institute for New States, ha rincarato: “Negli ultimi dieci anni, il cosiddetto terrorismo islamista è stato sotto il controllo di una delle agenzie d’intelligence più potenti del mondo. Sono certo che alcuni supervisor americani sono responsabili degli attacchi terroristici a Parigi, o comunque degli islamisti che li hanno messi a punto”. Ramzan Kadyrov, padrone della Cecenia, ha scritto su Instagram, suo veicolo di conversazione pubblica prediletto: “Siamo stati quieti finora, ma questo non vuol dire che non possiamo portare milioni di persone in marcia contro coloro che permettono che siano offesi i sentimenti religiosi dei musulmani. E’ questo che volete? Per la gente è più importante avere pace e stabilità, e un ristretto gruppo di persone non ha il diritto di mancare di rispetto al Profeta”.
Le teorie del complotto non sono più soltanto una chiacchiera di sottofondo, sono diventate sofisticate, rientrano nel grande progetto propagandistico che in Russia abbiamo imparato a conoscere bene in quest’ultimo anno di crisi ucraina e che in Turchia va di pari passo con le manie di grandezza di Erdogan: guardare il suo palazzo per credere. Se non fosse che siamo in guerra, potremmo pure sorriderne, ma ora non c’è niente da ridere.
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