L'agenda cibernetica di Obama per aggredire il Congresso ostile
“Se siamo connessi dobbiamo essere anche protetti” è uno degli slogan con cui Barack Obama si avvia verso il discorso sullo Stato dell’Unione, reso più orecchiabile dalla consuetudine della lingua inglese con la rima: connected, protected.
New York. “Se siamo connessi dobbiamo essere anche protetti” è uno degli slogan con cui Barack Obama si avvia verso il discorso sullo Stato dell’Unione, reso più orecchiabile dalla consuetudine della lingua inglese con la rima: connected, protected. Il presidente va diffondendo il verbo della cybersicurezza secondo varie declinazioni, ora sottolineando le necessità della privacy e della protezione dei giovani eternamente connessi nelle scuole, ora rivolgendo lo sguardo alle brecce informatiche nelle strutture di Sony, Home Depot, Target e altri colossi dell’industria, con tutte le implicazioni geopolitiche che queste comportano. Questioni di sicurezza nazionale, non solo violazioni dello spazio della libertà individuale. Sul piatto politico di Washington ci sono controversie politiche a prima vista più infiammate (immigrazione, l’assalto all’Obamacare) ma la Casa Bianca conferma che il presidente metterà al centro del primo stato dell’unione di fronte a un Congresso interamente repubblicano le preoccupazioni tecnologiche. Probabilmente per trovare un terreno comune con i repubblicani, oppure – perfidia politica più sottile – per mettere in imbarazzo la destra che sul controllo dei dati è spezzata fra i libertari oltranzisti della privacy e l’establishment che mette prima di ogni cosa la sicurezza. La falla nordcoreana nel sistema Sony e l’onda lunga del massacro di Parigi, che ha ributtato la sicurezza fra le priorità politiche, sono casi che potentemente sostengono la posizione obamiana. “L’idea che la sicurezza sarà una parte fondamentale del discorso del presidente è una cosa notevole”, dice il presidente della Internet Security Alliance, Larry Clinton. Una cosa notevole che Obama sta cavalcando per mettere a punto una linea di resistenza politica.
Se negli anni scorsi gli speechwriter del presidente hanno lavorato a fari spenti al discorso che tira le somme dell’anno passato e dà le linee politiche per l’anno appena cominciato, questa volta Obama arriva all’appuntamento del 20 gennaio con un roadshow in cui tutto (o quasi) è stato esplicitato. Ieri il presidente ha illustrato una delle varie proposte di riforma alla sezione informatica del dipartimento della Sicurezza nazionale, sulla quale finora il Congresso non ha trovato un accordo. Il presidente propone di fornire protezione legale alle aziende che si affidano alle strutture pubbliche o ad altri soggetti privati per difendere i propri dati sensibili. Esempio: la Sony non sarebbe stata perseguibile per violazione della privacy se avesse condiviso i dati con le più protette strutture cibernetiche dello stato al fine di respingere l’incursione degli hacker mandati da Pyongyang. Lunedì alla commissione federale del Commercio ha illustrato un piano per contrastare i furti di identità online ed erigere nuove barriere a difesa dei dati. Un sondaggio commissionato dalla Casa Bianca dice che la maggioranza degli americani crede che i dati in rete non siano al sicuro. Proprio mentre Obama parlava l’account Twitter del Centcom – il comando centrale delle Forze armate che gestisce le operazioni militari in medio oriente e oltre – è stato violato. Sono comparse bandiere dello Stato islamico e minacce ai soldati americani firmate dall’Isis; la sigla Isis, dicitura occidentale che limita il potere del Califfato alla Siria e all’Iraq, è il primo indizio che molto probabilmente non son stati hacker dell’Isis a prendere possesso del sistema per 40 minuti. Chiunque sia stato non ha violato strutture del Pentagono ma soltanto le sue ramificazioni sui social media, producendo “molte chiacchiere ma pochi risultati nel mondo reale”, come ha detto l’esperto di sicurezza Peter Singer. Un attacco simbolico, dunque, ma alimenta la percezione di insicurezza che Obama sfrutta per vendere il suo pacchetto di riforme al Congresso ostile.
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