Marco Rubio (foto LaPresse)

In ogni liberal c'è un conservatore in potenza. L'Uberpolitica di Rubio

Marco Rubio non ha ancora deciso se si lancerà o no nella corsa verso la Casa Bianca, dice che se lo farà non sarà una campagna di opposizione ad altre ricette conservatrici ma per riempire con idee originali un eventuale spazio politico lasciato scoperto dai colleghi.

New York. Marco Rubio non ha ancora deciso se si lancerà o no nella corsa verso la Casa Bianca, dice che se lo farà non sarà una campagna di opposizione ad altre ricette conservatrici ma per riempire con idee originali un eventuale spazio politico lasciato scoperto dai colleghi. Quel che Rubio non dice è che la presenza quasi ufficiale del suo maestro Jeb Bush complica la sua candidatura: i due sono politicamente distinguibili, ma pescano in bacini elettorali simili e attingono in parte dagli stessi finanziatori.

 

Avere alle primarie due candidati che provengono dallo stesso stato, poi, è un buon modo per mettere l’accento sul clima da guerra civile che regna nel partito. Nel dubbio, il senatore incoronato dal Time due anni fa come “salvatore dei repubblicani” ha appena pubblicato un libro che sarà lo scheletro dell’eventuale piattaforma elettorale, intitolato “American Dreams: Restoring Economic Opportunity for Everyone”. Rubio ha già sugli scaffali l’esplorazione autobiografica “An American Son”, equivalente del “Dreams from my Father” di Barack Obama nel sottogenere della letteratura politica di formazione, ma il secondo titolo riempie la casella della prosa più terragna, un programma elettorale messo in forma narrativa con aneddotica abbondante e parole chiave ricorrenti. Si scopre nel libro che per Rubio il segreto per un grande ritorno della mentalità liberista e repubblicana in America dopo otto anni di espansione del ruolo dello stato è Uber, la compagnia più odiata dai tassisti di tutto il mondo (e non solo dai tassisti). Rubio dice proprio così: bisogna rendere l’America un posto sicuro per Uber, un posto dove l’azienda di Travis Kalanick possa offrire il suo servzio competitivo senza l’assilo dei regolatori che tutto strangolano e deprimono. Gli studenti dell’Università di Miami dove Rubio tiene un corso, “erano incredibilmente affascinati da questo servizio innovativo e si domandavano perché non fosse attivo a Miami. Ho spiegato loro che era per via della regolamentazione creata dallo stato, che a Miami, ad esempio, impone un tetto massimo alle licenze dei taxi, distruggendo di fatto la competizione”.

 

[**Video_box_2**]La cosa ha colpito particolarmente gli studenti progressisti, “e mentre mi ascoltavano spiegare perché lo stato stava impedendo di usare i loro smartphone per andara a casa dopo un sabato sera fuori, vedevo che stavano cambiando idea. Prima che potessi rendermene conto, stavo parlando a un gruppo di ventenni attivisti anti regolamentazione”. Ecco l’Uberpolitica di Rubio: trasformare i progressisti in attivisti della competizione soltanto con la forza dell’esempio. Non c’è bisogno di affaticarsi sulle teorie di Hayek e Friedman, basta Uber, basta cioè la compagnia in cui l’uomo incaricato di spiegare al mondo che la competizione è buona e la regolamentazione è cattiva è David Plouffe, quello che ha inventato e venduto il brand di Obama. Il quale, a ben vedere, un tempo è stato una specie di macchina di Uber che cercava di sopravvivere alla regolamentazione clintoniana del Partito democratico.

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