La Svizzera si sgancia dall'euro. Comincia la guerra mondiale dei cambi

Ugo Bertone

Oggi la Banca centrale svizzera ha annunciato a sorpresa di avere abbandonato la politica di ancoraggio all’euro, che negli ultimi tre anni ha fissato il tasso di cambio del franco a un rapporto di 1,20 contro la moneta unica. Si rischia una guerra valutaria, effetto ultimo del mondo sotto deflazione.

Milano. Alla vigilia di Capodanno la Svizzera ha sminato, diciassette anni dopo la caduta del muro di Berlino, il ponte di Bad Sackingen da cui, secondo i generali di Berna, sarebbe passata l‘Armata Rossa in arrivo dalla Germania est in caso di conflitto. Thomas Jourdan, presidente della banca centrale elvetica, ha invece deciso (solo) dopo tre anni di eliminare le barriere contro la calata dei capitali alla ricerca di protezione sotto la bandiera scudo crociata.

 

Oggi la Banca centrale svizzera ha annunciato a sorpresa di avere abbandonato la politica di ancoraggio all’euro, che negli ultimi tre anni ha fissato il tasso di cambio del franco a un rapporto di 1,20 contro la moneta unica. In contemporanea, nel tentativo di frenare la corsa alla moneta di Berna, il banchiere ha anche stretto i tassi sui depositi nelle banche: d’ora in poi chi decide di parcheggiare la liquidità a Ginevra o a Zurigo pagherà un interesse negativo dello 0,75 per cento (mezzo punto in più del precedente). Ma le barriere antispeculazione sono state spazzate via nel giro di pochi minuti. L’euro è precipitato, fino a una punta del 30 per cento in meno, mentre il franco s’è pericolosamente avvicinato alla parità con la moneta unica (1,026 alle 12) prima di stabilizzarsi, ad un meno traumatico (ma non troppo) 15 per cento circa. Poco meglio ha fatto il dollaro, in caduta libera attorno al 14 per cento. Ma i prezzi, in una giornata unica nella storia di un paese che fa della stabilità il suo marchio di fabbrica, sono destinati a variare ancora, all’insegna di una volatilità degna dell’Argentina.

 

Mai, nella storia, si è assistito ad un crollo dell’11 per cento abbondante della Borsa di Zurigo, che dopo l’annuncio a sorpresa – nessuno dei 22 analisti del panel di Bloomberg prevedeva la mossa – ha lasciato sul terreno più di 100 miliardi di capitalizzazione, ovvero il valore di Credit Suisse e Ubs messi assieme, le due ammiraglie del sistema bancario che ieri hanno perduto circa il 14 per cento, Meno di Richemont, la casa madre di Cartier e di Montblanc, in ribasso del 17 per cento. Non sarà facile far digerire il “Francogeddon”, come è stato subito battezzato il cambio di rotta della Banca centrale, che mette seriamente a rischio la competitività dell’industria e del turismo, principali fonti di lavoro della confederazione. Ma la Banca centrale, a ben vedere, non aveva alternative.

 

Per tre anni gli gnomi di Berna hanno investito fiumi di denaro (495 miliardi di franchi nel solo 2014) per frenare la rivalutazione nel confronti dell’euro, accumulando enormi perdite nei conti della Banca centrale. Una politica insostenibile, soprattutto alla vigilia del Quantitative easing che s’accinge a varare la Banca centrale europea. I mercati, infatti, stanno anticipando le mosse di Mario Draghi spingendo al ribasso l’euro che è ormai sceso sotto i livelli del gennaio 1999, data di nascita della moneta unica. La prossima svolta della Bce, insomma, è all’origine della resa dei banchieri elvetici, rassegnati ad accettare la perdita di competitività nei confronti della concorrenza, soprattutto quella tedesca.

 

[**Video_box_2**]Difficile che la novità faccia, però, piacere alle famiglie d’oltre Reno. A differenza degli italiani, che prima della nascita dell’euro hanno più volte assistito alla discesa della lira verso il franco, i tedeschi non sono avvezzi a tenere in portafoglio una valuta debole e a dovere pagare la tavoletta di cioccolato a Basilea un 15-20 per cento in più. Anche questo potrebbe pesare negli umori dell’opinione pubblica in vista dell’allentamento della politica monetaria di Francoforte. A di là delle reazioni emotive, però, la scintilla di Berna suona come un avviso di tempesta negli equilibri già tesi sul fronte delle monete: yen ed euro, sotto la spinta dell’espansione monetaria, sono in calo, sterlina e dollaro veleggiano su quotazioni record, lo yuan forte minaccia l’export di Pechino. Si rischia una guerra valutaria, effetto ultimo del mondo sotto deflazione. Berna, al solito, ha deciso di giocare d’anticipo, alla ricerca di nuovi modelli di crescita: il vecchio porto sicuro dei capitali in fuga cerca nuove strade, come conferma l’accordo con l’Italia sullo scambio di informazioni sui capitali “barattato” con l’uscita delle banche di Berna dalla black list.