Felicità è un coniglio non mannaro
Non so perché mia mamma volesse a tutti i costi un figlio da chiamare Maurizio, ma lo voleva proprio. Così sono arrivato quarto, fuori zona medaglie, e quando penso di esserci forse pure per l’impuntatura di un desiderio leggero, mi prende una gran felicità, un buonumore come un giorno di rondini.
Non so perché mia mamma volesse a tutti i costi un figlio da chiamare Maurizio, ma lo voleva proprio. Così sono arrivato quarto, fuori zona medaglie, e quando penso di esserci forse pure per l’impuntatura di un desiderio leggero, mi prende una gran felicità, un buonumore come un giorno di rondini. Che poi, chissà perché. Escludo, sull’onore di mia mamma (parte un pugno), che fosse per Maurizio Arena. Pollini aveva appena vinto il Varsavia, ma mio papà è sempre stato del partito di Benedetti Michelangeli (Arturo: bah). Merleau-Ponty, fuori orizzonte. Il coniglio che mi è sempre stato più simpatico, dopo Bunny, è il Coniglio Mannaro, geniale ossimoro d’antan, di quelli che per un mistero onomastico materializzano un’intera condizione umana. Ma non c’è nulla di mannaro in chi i figli li fa a raffica, la mannaritudine appartiene al cielo imbronciato degli arcigni, ché per andare oltre il quarto posto bisogna essere follemente innamorati di un nome.
I compulsivi battitusti hanno messo in trappola Graziano Delrio (quota nove), di pelo bianco come quanto in oggetto. A una domanda scema rispose come un Karl Popper: “Non ci siamo mai seduti e detti: vogliamo tanti bambini. Siamo semplicemente stati aperti alla possibilità che i figli arrivassero”. Ho nove figli perché sono realista: lo vorrei al Quirinale soltanto per questo. Penso che non ce l’avesse con quelli come lui, Francesco. Però penso che con qualcuno ce l’avesse sì (gaffeur non è), e non avesse torto. Ma con chi, non lo dico.
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