Soldati israeliani bombardano il confine con il Libano con un lancio di mortai dal nord di Israele lo scorso 21 gennaio (foto LaPresse)

Israele all'Iran: oops, non volevamo uccidervi un generale

Paola Peduzzi

Ieri mattina a Tel Aviv, è tornato il terrore sotto quella forma conosciuta di recente fatta di coltelli – quando non di asce, quando non di automobili gettate sulla folla – e di “lone wolf”, come li chiamano gli inglesi, lupi solitari incattiviti che attaccano autonomamente civili e soldati israeliani.

Milano. L’attentatore è palestinese, ha 23 anni, vive a Tulkarem, in Cisgiordania, è arrivato ieri a Tel Aviv, ha in mano un coltello. Sale su un autobus, inizia a colpire l’autista, che si difende con le braccia, gli spruzza addosso uno spray urticante, finché il ragazzo cade, l’autista si ferma, il semaforo è verde, ma non importa, apre le porte, la gente inizia a scendere per chiamare aiuto. Il palestinese si è rialzato, accoltella a casaccio chi passa, una decina di persone almeno, di cui tre gravi, poi un poliziotto gli spara in una gamba e lo ferma.

 

Ieri mattina a Tel Aviv, è tornato il terrore sotto quella forma conosciuta di recente fatta di coltelli – quando non di asce, quando non di automobili gettate sulla folla – e di “lone wolf”, come li chiamano gli inglesi, lupi solitari incattiviti che attaccano autonomamente civili e soldati israeliani. Le autorità di Gerusalemme tutta questa autonomia non la riconoscono: è “il risultato diretto dell’incitamento velenoso contro gli ebrei e il loro stato disseminato dall’Autorità palestinese”, ha detto ieri il premier, Benjamin Netanyahu. E’ una campagna di Abu Mazen, quindi, che non è più l’unico interlocutore disponibile per la pace, ma un pericoloso vicino. Ed è proprio dai vicini che Israele sente di nuovo un’insostenibile pressione: Iron Dome è all’opera, con alcune migliorie tecniche, perché si temono razzi dai palestinesi e anche dal Libano, ma gli occhi degli esperti ora sono puntati sulle colline del Golan, quel pezzo di terra tra Israele e Siria. Domenica un elicottero dell’esercito di Gerusalemme – il ruolo di Israele non è stato confermato, ma non lo è mai – ha colpito un convoglio di mezzi di Hezbollah proprio su quelle alture, a Quneitra, città fantasma situata nella zona demilitarizzata. Sei morti appartenenti a Hezbollah, s’è detto, tra cui Jihad Mughniyeh, figlio venticinquenne del mitico Imad Mughniyeh, che fu assassinato a Damasco nel 2008. Il giorno dopo s’è saputo che non tutti i morti erano di Hezbollah: uno era un comandante delle Guardie della rivoluzione iraniana che, secondo la versione ufficiale, era lì in missione per aiutare il governo siriano contro gli estremisti sunniti, fornendo “consigli cruciali su come fermare i crimini e le cospirazioni della sezione terrorista sionista in Siria”. Aiutava dunque il governo di Bashar el Assad a difendersi, a pochi chilometri dal confine con Israele. Il comandante si chiamava Mohammad Ali Allahdadi, ed è uno dei più alti in grado uccisi in missioni fuori dall’Iran in decenni: un altro comandante, Hamid Taqavi, è stato ucciso a Samarra, in Iraq, mentre combatteva contro lo Stato islamico – quanto basta per far dire a un’altra Guardia rivoluzionaria, Akbar Fotouhi, che “il legame tra il regime sionista e lo Stato islamico è diventato evidente in questo martirio”. I toni del capo dei pasdaran, Ali Jafari, sono stati però ben più duri e precisi, al punto che tutti i giornali internazionali hanno titolato sulla minaccia di rappresaglia da parte di Teheran: “Il percorso del martirio di Allahdadi non si può più fermare. Continuerà fino alla liberazione della sacra Quds (Gerusalemme) e all’eliminazione del regime sionista, macchia disgraziata in tutta la regione”.

 

[**Video_box_2**]Secondo quanto trapela da Israele, l’intelligence non sapeva che a bordo del convoglio colpito ci fosse anche un pasdaran tanto alto in grado: l’obiettivo era Hezbollah e il suo traffico di uomini e armi, da fermare per evitare di aprire un fronte sul Golan. Ora si teme la reazione proprio del Partito di Dio, anche se in realtà molti esperti sostengono che aprire una guerra adesso con Israele non sarebbe opportuno, come dice il leader Hassan Nasrallah, si aspetta il “momento conveniente”. Ma la domanda cruciale è: che ci faceva un alto comandante pasdaran iraniano a pochi chilometri dal confine con Israele?

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi