Il presidente della Bce Mario Draghi (foto LaPresse)

Zampata coraggiosa della Bce

Alberto Brambilla

Draghi trascina l’Eurotower in un’impresa paragonabile al  famoso “whatever it takes” che salvò la moneta. Intervento massiccio,  tempo durevole. Presentazione scoppiettante, polemiche. Dice Giavazzi.

Roma. Ieri la Banca centrale europea ha finalmente annunciato un aggressivo programma di acquisto di titoli pubblici da oltre 1.000 miliardi di euro che durerà almeno per diciannove mesi con il duplice obiettivo di spronare la stagnante economia dell’Eurozona a crescere e di risollevare l’inflazione ormai vicina allo zero.

 

Al termine del consiglio direttivo di ieri, il presidente della Bce, Mario Draghi, ha svelato l’intervento storico che dà all’Unione monetaria europea la stessa potenza di fuoco di Stati Uniti, Giappone e Gran Bretagna. Si procederà in due fasi. A partire da marzo fino al settembre del 2016, la Bce, servendosi delle Banche centrali nazionali, comprerà 60 miliardi di euro ogni mese in bond sovrani di 19 paesi dell’euro – inclusi quelli sotto bail-out come la Grecia, ma con alcuni criteri aggiuntivi – più emissioni delle agenzie europee e covered bond. Liquidità totale: 1.150 miliardi. Se ciò non bastasse, gli acquisti proseguiranno finché le aspettative di inflazione non torneranno a crescere vicino all’obiettivo del 2 per cento fissato dalla Bce (ora il tasso è allo 0,2).  L’intervento, per quanto ampiamente atteso, ha sorpreso positivamente i mercati. Le Borse europee sono arrivate ai massimi da sette anni, l’euro ha toccato i minimi decennali a 1,14 sul dollaro.

 

“Il mercato sembrava avere scontato tutto ma l’euro è addirittura sceso sotto la soglia psicologica degli 1,15 dollari: prova cruciale che Draghi ha fatto molto di più delle attese”, dice al Foglio Francesco Giavazzi, docente dell’Università Bocconi di Milano, editorialista del Corriere della Sera che ha lavorato con Draghi al Tesoro negli anni Novanta. “E’ l’intervento giusto, necessario. Vedo solo risvolti positivi: aiuterà l’Europa e l’Italia, che è arrivata a un punto di svolta in autunno quando la produzione industriale ha ricominciato a crescere”.

 

La Bce ha inserito il programma di stimoli, cosiddetto Quantitive easing, nella gamma di strumenti di politica monetaria legalmente concessi con decisione “unanime” del direttivo. Sul punto specifico, anche la Bundesbank, falco intransigente, ha votato a favore, e ciò mette al riparo la Bce da ritorsioni legali. Una “larga maggioranza” del board ha invece votato affinché si agisse ora. Forse troppo tardi, dice Sergio De Nardis, capoeconomista del think tank Nomisma, senza minimizzare la “portata storica” dell’evento. “La Bce arriva con una situazione europea di stagnazione e aspettative in caduta dell’inflazione. Era meglio iniziare prima: i prezzi hanno cominciato a distaccarsi dagli obiettivi della Bce alla fine del 2013, meccanismi decisionali complessi non aiutano. Tuttavia è importante che gli stimoli possano essere sottoposti a revisione, in corso d’opera. La Federal Reserve americana nel terzo e definitivo Qe aveva raddoppiato gli acquisti mensili da 40 a 85 miliardi di dollari”.  La Bce, si diceva, ha infatti lasciato aperta la possibilità di continuare a comprare finché “non ci sarà un cambiamento sostanziale nelle aspettative di inflazione”. Uno stimolo potenzialmente illimitato che rende l’azione particolarmente aggressiva. Simile, da un lato, a quella della Bank of Japan – finalizzata a risollevare i prezzi – e dall’altro, a quella conclusa dalla Fed – finalizzata all’aumento dell’occupazione ma con tempistiche lasche.

 

Gli acquisti della Banca centrale europea, stima Alberto Gallo, economista della Royal Bank of Scotland, potranno superare il 10 per cento del pil dell’Eurozona. “E’ il massimo che si poteva fare – dice Gallo al Foglio – è molto importante che gli acquisti possano proseguire finché non si arriva vicino al target desiderato di inflazione. Tuttavia è una specie di arma a doppio taglio perché se i governi fanno troppo affidamento sulla politica monetaria – un punto fissato da Draghi in conferenza stampa “la politica monetaria sta dominando” – e non reagiscono si crea una specie di trappola, si genera l’aspettativa che la Bce sia sempre pronta ad aiutarti”.

 

Preoccupazione che rispecchia i timori dell’establishment tedesco. Per il capo del consiglio economico della Cdu tedesca, partito della cancelliera Angela Merkel, il piano è “inefficace – e aggiunge Kurt J. Lauck – il prossimo tentativo della Bce sarà nascondere i problemi di politica economica con misure di politica monetaria”, deplorando Francia e Italia per non rispettare le regole europee. Dal bastione merkeliano si minimizza la necessità dell’intervento negando il calo dei prezzi e delle attività. Un classico della narrativa tedesca, tuttora strumentalmente scottata dall’iperinflazione del 1920 che fu tra i fattori propulsivi dell’avvento del nazismo. Draghi ha controbattuto (indirettamente) in conferenza stampa dicendo che a ogni nuovo strumento espansivo adottato dalla Bce, vedi l’Omt messo sotto schiaffo dalla Corte costituzionale tedesca, si paventa un aumento dei prezzi che però nessuno ha ancora visto, è stata la frecciata di Draghi.

 

[**Video_box_2**]La questione più controversa del Qe in salsa europea è il fatto che le Banche centrali nazionali dovranno farsi carico del rischio perdite sui titoli sovrani dei rispettivi paesi. L’80 per cento degli acquisti sarà in capo alle Banche nazionali e solo il restante 20 per cento alla stessa Bce. Tale prospettiva, emersa nei giorni scorsi, aveva già suscitato polemiche perché pare un compromesso – al ribasso, secondo molti osservatori – raggiunto per fare una concessione alla Germania. Draghi ha minimizzato la questione definendo “superfluo” il dibattito sul punto. Nel board Bce c’è stato “consenso” sulla scelta (tutti i governatori sono d’accordo o non obiettano). La prospettiva tuttavia non sembrava gradita alla Banca d’Italia in quanto mina il principio di condivisione degli oneri tra i paesi della moneta unica. “Questo indica che non esiste una Banca centrale europea propriamente definita, si ripropone dunque la riforma del suo statuto”, dice al Foglio Paolo Savona, economista e già ministro dell’Industria. Aggiunge poi Carlo Altomonte, professore di Economia e Integrazione europea all’Università Bocconi, che “la logica tedesca è comprensibile. Dico che mi spiace vedere mancanza di fiducia reciproca in Eurozona. E’ un punto politico, nulla toglie all’azione economica. Ma certifica che se la voglia di condividere i rischi è al 20 per cento, anche quella di una massima integrazione fiscale s’attesta su quella bassa percentuale”. 

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  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.