Contro i disfattisti
Il difetto non è nella moneta, ma nell’Europa come progetto politico (insulti a parte).
Non è un bazooka. Ma un colpo di fucile nella direzione giusta, sì. E nell’Europa dei piccoli passi, spesso anche indietro, non è cosa da poco quella che Draghi è riuscito a far passare alla Bce. Certo, condividere solo il 20 per cento dei rischi relativi ai 1.080 miliardi di titoli che la Bce comprerà di qui fino a settembre 2016 può far storcere la bocca. Ma intanto sono meglio di zero, e poi questa forma di mutualizzazione rappresenta la fine di un tabù che apre la strada, sul piano culturale prima ancora che pratico, a una vera federalizzazione del debito europeo. Tuttavia, è presto per dire se questo Quantitative easing sarà o meno sufficiente a riassorbire la caduta dei prezzi e riportare l’inflazione alla soglia del 2 per cento, così come se spingerà in modo strutturale il cambio dell’euro verso la parità con il dollaro e se sarà capace di bagnare in modo irreversibile le polveri da sparo della speculazione nei confronti della moneta unica e dell’eurosistema. Anche perché rimane il fatto che, come Draghi ha ripetuto fino alla noia, ogni manovra monetaria, per quanto straordinaria, non potrà che restare un palliativo se i governi non si impegneranno nelle riforme nazionali e nell’integrazione delle sovranità. Veri fronti da cui passa, o meno, la possibilità di mettere fine alla più grande crisi economica dell’ultimo secolo anche per l’Europa, dopo che Obama l’ha dichiarata archiviata per l’America. Con buona pace degli arruffapopoli che nel Vecchio continente stanno facendo credere alla gente, stremata psicologicamente prima ancora che praticamente da sette anni di crisi, che la fine dell’incubo risiede nel tornare ciascuno sotto il proprio campanile. Gli stessi che ieri, subito dopo l’annuncio della Bce, hanno tirato le pietre a Draghi per aver tardato.
Prendete tale Claudio Borghi, sedicente economista che presta il suo pensiero (sic) a Salvini –“il Qe è la più grande speculazione della storia” – e vedrete chi avremmo dovuto mettere a trattare con l’arcigna Merkel. Questo tizio capeggia un gruppo di “haters”, gente che passa la giornata a intingere il pennino nell’odio. Parlo per esperienza, perché ne ho fatto le spese. “Infame collaborazionista”, “cialtrone”, “#nonseiumano”, “nemico dell’Italia vergognati”, sono solo alcuni degli insulti (tra quelli riferibili) che ho collezionato in poche ore su Twitter dagli infoiati antieuro per aver sostenuto che a oggi, nonostante tutto, credo ancora nell’Unione europea. Nessun modello econometrico può stabilire con esattezza cosa accadrebbe in caso di fine della moneta unica, ma con fervore integralista gli antieuro sostengono di poter prevedere ogni cosa, insultando chiunque la pensi diversamente (#jesuiseuropeista). Pensate, poi, che pur di tornare alla liretta tra gli ideologi antieuro c’è chi propone di chiudere le banche e congelare i risparmi per settimane. Ma poi, tutta questa ambizione solo per tornare a svalutare? A parte che durante la crisi e con l’euro forte (eccessivamente) il nostro export è cresciuto anche più di quello tedesco, è da rilevare che, nonostante il deprezzamento sul dollaro, a novembre c’è stato un calo congiunturale delle vendite extra Ue dell’1,7 per cento. E poi, non è certo con le svalutazioni competitive che innescano competizione al ribasso che ci risolleviamo.
[**Video_box_2**]Si tratta di accuse ridicole per me, in quanto i professionisti dell’insulto ignorano (loro, d’altra parte, ignorano per definizione) che mi sono beccato dell’euroscettico e dell’euro-disfattista perché ero contrario a introdurre l’euro senza una preventiva o quantomeno contemporanea integrazione politico-istituzionale (ma avevo anche detto che si fosse fatto, comunque per l’Italia sarebbe stato un suicidio rimanerne fuori, e lo ribadisco). Ma pazienza. Il fatto è che si tratta di parole d’ordine pericolose per il paese, perché finiscono con l’azzerare le nostre responsabilità – da noi il declino è iniziato ben prima del 2008 – e far credere che sia l’euro la causa di tutti i mali.
La strategia leghista
L’operazione è semplice: sbatti il mostro in prima pagina, approfitti di ansie e paure (legittime) e gli adepti si moltiplicano. E domani anche i voti. E’ la strategia dell’ormai ex Lega nord, che fino a ieri voleva creare una moneta sovrana dal Po alle Alpi e ora si è intestata la battaglia contro l’euro con gli slogan di qualche improvvisato ideologo, tipo un “si stava meglio quando il caffè costava mille lire”. Semplificazioni che impediscono di spingere l’opinione pubblica nell’unica direzione possibile, quella di mettere rimedio ai difetti genetici dell’euro, capendo che il difetto non è nella moneta, ma nell’Europa come progetto politico. La sfida è proprio qui: o andare avanti verso gli Stati Uniti d’Europa, o il ritorno al passato, l’illusione di poter restaurare un sistema che in realtà è la globalizzazione e non l’euro ad aver cancellato per sempre. Meno male che c’è Draghi.
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