La sinistra bacchettona contro American Sniper: respinta
Clint Eastwood divide la critica con il suo nuovo lavoro, ma più che l'estetica conta la politica. Liberal all'attacco: non si canonizzano persone impenitenti. Storia di unfilm diventato un fenomeno culturale, uno di quelli in grado di scatenare ancora critiche e dibattiti politici e ideologici.
Non ringrazieremo mai abbastanza Clint Eastwood per averci consentito il piacere di trovarci in imbarazzo nel difendere un suo film. American Sniper, la storia di Chris Kyle, cecchino letale, uomo imperfetto e patriota americano indefesso ha superato i 120 milioni di incasso solo in America, 15 milioni in Italia. Ma ha fatto di più: è diventato un fenomeno culturale, uno di quei film in grado di scatenare ancora critiche e dibattiti politici e ideologici.
Nonostante il successo, American Sniper non è piaciuto proprio a tutti ma non per motivi strettamente estetici bensì politici. Conciliare il prestigio intellettuale di Clint Eastwood, autore raffinato di capolavori quali Gran Torino e Million Dollar Baby, con il Navy Seal texano che amava il proprio lavoro e chiamava “selvaggi” i nemici, ha fatto esplodere non poche teste a sinistra. Le sei nomine all’Oscar hanno peggiorato le cose: non si canonizzano persone impenitenti.
Clint Eastwood (foto LaPresse)
Le accuse sono di due tipi. La prima etico-registica è di aver girato un film di propaganda (New York Times Magazine) e storicamente inaccurato (Guardian). Esci dalla sala e senti il bisogno di iscriverti al Partito Repubblicano sventolando la bandiera, ignorando la complessità del conflitto, le ragioni, i dilemmi morali. La seconda critica si interroga sull’autenticità dell’eroismo di Chris Kyle. Può un uomo che ama ciò che fa, uccidere, e che non si pone interrogativi fino a essere considerato un dumbass, essere un eroe? Andew O’Heir su Salon sostiene di no: “American Sniper è il profilo di un ragazzo che vede se stesso come onesto e rispettabile, ma il cui codice morale semplicistico risulta essere di scarsa preparazione per il mondo reale e per la guerra”. Amy Nicholson su Slate accusa Eastwood di non aver affrontato le contraddizioni e le menzogne di Chris Kyle (che come ha già raccontato Mattia Ferraresi, le sparava grosse), di averne corretto il carattere evitando dichiarazioni nell'autobiografia quali “Non ho rischiato la mia vita per portare la democrazia in Iraq. Ho rischiato la mia vita per i miei compagni, per proteggere i miei amici. Sono andato in guerra per il mio Paese, non per l’Iraq”, concludendo con un chiaro “non me ne è mai fottuto un cazzo di loro”.
Se da destra si applaude in sala alla morte del cecchino Mustafa, controparte ideologica e simbolica di Kyle, a sinistra si tenta una lettura che ristabilisce la storia sulla leggenda. Michael Moore (la Sabina Guzzanti americana) ha subtwittato Eastwood scrivendo che i cecchini sono codardi, non eroi.
Sarah Palin (la Daniela Santanché americana) gli ha risposto “Vi scambiate trofei di plastica l’uno con l’altro mentre sputate sulla tomba dei nostri combattenti per la libertà. Rendetevi conto che il resto dell’America sa che non siete degni di lucidare gli stivali di Kyle”. Clint Eastwood è nel mirino. Fortuna che a sparare sono i progressisti, quindi rimane vivo.
Polemiche a parte, American Sniper è anzitutto una riflessione sui reduci di guerra lasciati soli nel percorso di reintegro nella vita normale. Ma dice molto sulla natura dell’eroismo contemporaneo, ovvero che l’unico modo possibile di essere eroi è non porsi mai alcun dubbio. Sparare. Uccidere il nemico prima di essere uccisi, ogni secondo perso è un amico morto. E lo fa raccontandocelo per contrasto con chi non è nato come Kyle, "un normale redneck” con le caratteristiche di un cane da pastore, in un mondo di pecore (che non credono all’esistenza del male, come la redazione di Salon) e di lupi (i tagliagole e i macellai integralisti). Ogni cedimento è un passo più vicino alla morte perché il nemico non cede mai, neppure di fronte al sacrificio dei propri figli.
[**Video_box_2**]Clint Eastwood diceva sempre a Sergio Leone: "In un film di serie A lasci gli spettatori pensare insieme al film, in un film di serie B spieghi tutto". Non bisogna lasciarsi confondere dall'eccessivo schematismo nel racconto. È falso credere che non ci sia ambiguità in American Sniper nella figura di un eroe integerrimo che verso il finale ha un crollo e deve riabituarsi a vivere la vita civile, fino al momento in cui uno dei compagni, un veterano con problemi psichiatrici, gli spara causandone la morte. È da leggerlo come un cedimento di un uomo incapace di reggere l'inferno della guerra o come l'incapacità del Governo e della società di riabilitare un soldato che ha servito il Paese?
Ammettiamolo una volta per tutte: più della figura controversa di Kyle raccontata con indulgenza, più dell’averci fatto parteggiare per un Navy Seal contro un bambino che imbracciava un fucile o reggeva una granata, più che per aver usato terribili bambolotti di plastica per sostituire neonati con la febbre, più ancora dell’aver ridotto gli iracheni a indiani, più di qualsiasi cosa non perdoniamo a Clint Eastwood l’ambiguità di non averci spiegato a ogni inquadratura che la guerra non gli piace, che non deve piacerci, che c’è una direzione morale da seguire anche per un autore da esibire in società per far bella figura, e di averci fatto avvicinare al mirino di un militare che non sentiva di dover chiedere scusa. Più di ogni cosa non gli perdoniamo di averci costretto a pensare.
Il Foglio sportivo - in corpore sano