Tsipras è un conservatore un po' incendiario, facciamogli posto
Quello che farà Alexis Tsipras è in braccio agli dei. Non lo sa nemmeno Peter Spiegel, che ne ha scritto un ritratto impeccabile sul Financial Times; non lo sa Marco Valerio Lo Prete, che per il Foglio ha passato una settimana ateniese appresso a chi fa e disfa il programma economico del capo di Syriza. Non lo so nemmeno io.
Quello che farà Alexis Tsipras è in braccio agli dei. Non lo sa nemmeno Peter Spiegel, che ne ha scritto un ritratto impeccabile sul Financial Times; non lo sa Marco Valerio Lo Prete, che per il Foglio ha passato una settimana ateniese appresso a chi fa e disfa il programma economico del capo di Syriza. Non lo so nemmeno io. Tsipras non è evanescente e sereno come un Bertinotti, non è comico – anche involontariamente – come un Grillo, non è nazional-sovranista come una Marine Le Pen o un Nigel Farage, non è un refoulé della gay culture sentimentale come Vendola, non è un indossatore come Pippo Civati, con tutte le differenze tra i presenti, todos caballeros. Quando parla di sé stesso ragazzo e della sua scuola professionale di uomo pubblico e di partito, di leader studentesco con inclinazione ai compromessi utili, quando cerca “la sintesi e l’obiettivo principale” secondo la migliore scuola realista, sebbene faccia tutto questo in nome di una ribellione sociale sofferente e confusa alle cifre sofferenti e confuse del disastro euro-greco, sembra più un altro boy scout della Provvidenza che un firebrand, un incendiario senza altri principi che lo sfascio e la secessione dalle classi dirigenti europee. Ha quell’aria istintiva, malleabile e insieme adamantina, irritante ma intensa e significativa, che anche gli italiani hanno imparato a conoscere con il loro New Labour in salsa democratica, con la loro Fiorentina d’attacco, con il premier turbo che a volte sembra indulgere nell’esercizio scabroso di sollevare illusioni per poterle poi meglio deludere. Ma è l’unica speranza in quanto è l’unica realtà rappresentativa di un disastro, e tocca riconoscergli il ruolo e lo spazio che solum è suo – come rileva il Guardian – se l’Europa deve reagire con una politica utile a una sfida un po’ stracciona, e questo sia che debba governare in coalizione sia da solo. Insomma, Alexis non è un Paolo Flores, un trotskista senz’arte né parte, non emana il fumo della cara Spinelli, e non pare il tipo che alla fine si mette a suo agio nei salotti. Da vedere.
La troika poi non è una banda di cravattari, di usurai. Chi la pensa così ha smesso da tempo di pensare, pensa con la gola. Ma il debito si può maneggiare, posto che non lo si disconosca, in particolare quando riguarda una moneta unica nata senza una politica unica, quando è parte di un rapporto anche politico tra stati. Certo, sarebbe stato meglio maneggiarlo con una leadership liberale e conservatrice, con un potere capace di giustificare la perdita a rotta di collo con un piano efficace e radicale di riforme. Far lavorare i greci e proporgli un ordine delle cose era un progetto non così strambo, data la situazione, ma rivoluzionario. E non è stagione di rivoluzioni, di Thatcher ce n’è una sola, è un periodo in cui sinistre e destre populiste si indignano con facilità, si mettono in posa a favore di disagio sociale mediatizzato, e si ritrovano intorno a programmi di tutela, di protezione, di conservazione degli status quo messi in discussione dalla formula dei mercati aperti e mondializzati. Tsipras in fondo è un conservatore che non sa di esserlo, sopra tutto quando fronteggia gli spiritacci capitalisti del Fmi e della Bce, è uno che si mette contro la grande trasformazione del lavoro e della produttività portata dalle libertà di mercato in nome di un popolo simpatico, che ne ha prese oltre misura anche se doveva restituire al principio di realtà qualcosa di più grande ancora del debito greco e della propensione greca all’imbroglio (e un po’ italiana e francese, se è per questo). Il turbo-assistenzialismo non è il nuovo manifesto dei comunisti. Il Pireo e i ministeri affollati del servizio pubblico alla greca non sono il mondo manchesteriano della rivoluzione industriale.
[**Video_box_2**]Però la democrazia è anche questo: l’incomprensibile. Alberto Mingardi ha scritto con ironia sulla Stampa che per polemizzare con l’austerità, in Italia, bisognerebbe prima averla sperimentata, il che non è (a parte le ridicole polemiche sull’Imu la Tasi e il resto). Ora si vedrà. Ci sono condizioni nuove per evitare nuovi passi danzanti intorno al baratro, a partire dalla radicale scelta di Draghi in materia di allentamento monetario. L’unica è sfruttare queste condizioni integrando nei limiti del possibile i conservatori con la bandiera rossa, che cantano Bella Ciao e inumidiscono il ciglio degli ipocriti.
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