Barack Obama e Narendra Modi (foto LaPresse)

Perché l'India festeggia il suo ospite d'onore, mister Obama

Giulia Pompili

Il primo ministro indiano, Narendra Modi, che è alla guida del paese da poco meno di un anno, ha dimostrato di essere pronto a stringere relazioni diplomatiche sempre più forti in nome degli interessi strategici indiani (solo gli italiani ancora non sono riusciti a fare dei passi in avanti significativi sulla questione dei due Marò).

Alla fine del pivot asiatico di Barack Obama, l’anatra zoppa di Washington, mancano solo due anni. Cosa si può fare in due anni? Spostare l’asse a Nuova Delhi, per esempio. Il Wall Street Journal di oggi titola: “Obama manda un messaggio alla Cina”, sottindentendo che il viaggio di stato del presidente americano in India, durante le celebrazioni per la festa della Repubblica – l’India sì che è la democrazia più grande del mondo – sia stato soprattutto un segnale strategico contro l’egemonia di Pechino in Asia. Il primo ministro indiano, Narendra Modi, che è alla guida del paese da poco meno di un anno, ha dimostrato di essere pronto a stringere relazioni diplomatiche sempre più forti  in nome degli interessi strategici indiani (solo gli italiani ancora non sono riusciti a fare dei passi in avanti significativi sulla questione dei due Marò). L’India, che durante l’ultimo conflitto mondiale si è mantenuta neutrale, non ha scheletri nell’armadio dei ricordi come il Giappone. Oltretutto il principale problema dell’India è il Pakistan, un problema che condivide con Washington. La Cina ha dimostrato ultimamente di avere poca voglia di collaborare con l’America. Obama ha portato a casa un accordo sui gas serra con Xi Jinping, ma nel frattempo Pechino ha iniziato a rinsaldare rapporti economici con la Russia, e ha smesso di occuparsi del problema della Corea del nord (qui un lungo articolo del National Interest). Insomma, Washington sembra aver trovato il miglior candidato per riempire di senso l’espressione altrimenti vuota del “pivot asiatico obamiano” (nonostante Modi sia in realtà di un partito di destra e un estremista hindu, dice l’Abc).

 

Ciò che non sfugge agli osservatori, però, è che Obama sarà stato pure il primo presidente americano a presiedere una festa della Repubblica indiana, ha rotto il protocollo del Secret service restando più di due ore tra la folla, ha subìto con pazienza tutti i calorosi abbracci del primo ministro indiano, ma nonostante tutto questo Modi ha dimostrato di non avere intenzione di cedere troppo terreno all’America. E lo ha fatto capire con delle espressioni non verbali: qui c’è un lungo articolo di Quarz che analizza “il simbolismo di Modi”, dalla cerimonia del tè all’uso delle soldatesse nelle cerimonie ufficiali – in un paese che si distingue per i crimini sessuali contro le donne. Se non fosse stato chiaro, Modi si è presentato con un bandhgala, il completo classico indiano delle cerimonie, che da lontano poteva sembrare un semplice gessato e invece le righe erano composte dal suo nome e cognome. Solo l’ex presidente egiziano Hosni Mubarak aveva osato tanto.

 

[**Video_box_2**]Ma Modi è riuscito a strappare accordi favorevoli anche dal punto di vista più diplomatico: l’intesa sul nucleare civile va avanti, e l’India ha praticamente vinto l’accordo sull’assicurazione finanziaria degli operatori che gestiscono gli impianti nucleari. Nuova Delhi è il più grande mercato del mondo nel settore dell’industria della Difesa, e durante lo scorso anno è diventato il primo acquirente di armi dagli Stati Uniti (5,9 miliardi di dollari di acquisti effettuati direttamente al Pentagono), superando l’Arabia saudita. Ma l’India è anche un eccellente costruttore di droni e di veicoli spaziali, che produce a costi incredibilmente inferiori rispetto all’America. E poi ci sono questi quattro miliardi di dollari di investimenti delle banche americane per accelerare lo sviluppo in India, annunciati oggi da Obama. Nuova Delhi esulta, i media indiani esaltano le capacità contrattuali di Modi, l’America foraggia. Per capire come reagirà la Borsa di Mumbai bisognerà aspettare qualche ora (secondo alcuni analisti influiranno sulle finanze indiane anche le elezioni greche). Il 2015 sembra comunque essere il grande anno indiano.

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.