Tsipras è il nostro moroso, teniamocelo stretto
Alexis Tsipras è una bella figura di non-pagatore di debiti. Versione sfrontata, allegra, dell’insolvente che risolve la impossibile situazione del suo paese. Farà in sostanza le stesse cose dei suoi predecessori, rinegoziare, non pagare, allungare scadenze, svalutare.
Alexis Tsipras è una bella figura di non-pagatore di debiti. Versione sfrontata, allegra, dell’insolvente che risolve la impossibile situazione del suo paese. Farà in sostanza le stesse cose dei suoi predecessori, rinegoziare, non pagare, allungare scadenze, svalutare. Lo hanno fatto i greci nel 2010 (prendendosi un po’ di aiuti che servivano a finanziare debito corrente), nel 2012, col taglio del valore del debito e la più grande ristrutturazione di crediti del dopoguerra (la cancellazione tedesca del 1953 non va contata perché il default tedesco era di 10 anni prima). Perciò lo ha fatto il Pasok dei socialisti incravattati e ben piazzati nelle istituzioni europee e lo ha fatto la Nuova Democrazia dell’uomo dell’anno 2012 (titolo conferito dai giornali tedeschi) Antonis Samaras.
I numeri greci (ma se ne verrà mai fuori?) sono chiaramente insostenibili. Non ce n’è dal versante del rigore fiscale e non ce n’è neanche con una crescita da super tigre asiatica. E serve a poco ormai (anche se dà un bel contributo di chiarezza) che Mario Draghi faccia osservare come, malgrado l’asserita austerità strozza-popolo, la pressione fiscale greca sia tuttora poco sopra al 34 per cento e quindi ben sotto alla media europea.
Tsipras lo sa ma mette su il sorriso invece della faccia incupita dallo Schuld (il sinonimo tedesco di debito e colpa) non onorato. La sua alleanza politica per rimediare un pugno di voti necessari a stabilizzare la maggioranza non la fa con qualche arcobaleno ma con il partitello di destra che ha nella bandiera il “no” al debito. È l’insolvenza il programma, non l’insorgenza. E va benissimo. E si tacciano gli italiani che ora fanno i merkelini per 40 miliardi.
Prendiamola un po’ alla lontana. Un mondo in cui tutti onorassero perfettamente i debiti alla scadenza e gli interessi a maturazione non sarebbe sostenibile. Niente mercato del credito, niente tassi di interesse, forse neanche il mercato finanziario avrebbe più senso, zero avvocati, zero arbitrati. Una noia micidiale e mortifera. Che negherebbe in essenza economia e finanza: una banconota è un debito che non sarà mai onorato. Eppure lasciate per terra uno di quei pezzi di carta (una cambiale destinata a non essere pagata) e vedrete come ci si fionda sopra qualcuno.
L’Europa che ha finanziato e rifinanziato la Grecia sapeva benissimo di favorire l’emissione di carta molto discutibile. E infatti dal 2012 in avanti nessuno l’ha più comprata e quella roba si è accumulata nei portafogli delle istituzioni europee e della banca centrale. Quella greca di 3 anni fa fu la maggiore in Europa nel dopoguerra ma della triade crisi-insolvenza-ristrutturazione è costellata la storia recente di tutte le economie dotate di un minimo di accesso al mercato finanziario (anche ben sotto allo investment grade). Operazione a volte dichiarata, a volte nascosta. L’Italia anni ’70 e ’80 ristrutturava attraverso l’inflazione. La Banca d’Italia (non ancora divorziata dal Tesoro) comprava i titoli residui, contribuiva a tenere la domanda, e il resto lo risolveva l’inflazione, svalutando la moneta e quindi rendendo possibile allo Stato far fronte ai debiti.
[**Video_box_2**]L’euro nasce su un progetto contrario proprio a questa pratica. Un’utopia (ovviamente pericolosa): la separazione tra la moneta e il debito, per purgare la prima di tutte le impurità del secondo. Alla moneta doveva provvedere la Banca Centrale, e il debito sarebbe rimasto questione dei governi (controllati dalle regole dei vari patti europei). Ma gli stati, da sempre, desiderano fare la politica monetaria. La tentazione è troppo forte. Per chi governa l’economia è troppo bello pensare (e praticare) che moneta e debito siano, in fondo, la stessa cosa. Draghi sta risolvendo la questione facendo salire la scala dell’intervento. Talmente tanti soldi che alla fine, pur coprendola con l’ombrello Bce, l’operazione sarà a carico dei bilanci nazionali e tornerà quindi la commistione inevitabile tra moneta e debito.
Il nostro moroso (il copyright letterario dell’equivoco sulla parola è di Achille Campanile) quindi teniamocelo stretto. Tsipras non sarà il peggiore dei morosi e potremmo scoprire che i crediti (e i debiti) esauditi fanno più danni di quelli non esauditi.
Il Foglio sportivo - in corpore sano