Ad Auschwitz padre Manfred prova a rispondere alla domanda: “Dov'era Dio?”
“Nella dignità dell’uomo. Dio lo ha creato a sua immagine e somiglianza. Significa che Dio è nell’uomo e che l’uomo è pertanto degno di essere rispettato”. Parla Padre Manfred Deselaers, Vice Presidente del Centro per la preghiera e il dialogo a Auschwitz.
Il campo di Birkenau, l’area di Auschwitz dove fu tolta la vita al grosso delle vittime, è tagliato in due da un sentiero pedonale. Da una parte, la zona riservata ai visitatori: i binari, le baracche in mattoni rossi, i resti delle camere a gas e il Memoriale. Dall’altra, una piccola radura dove qualche vecchia struttura è lasciata a marcire. La manutenzione non si estende a tutto il lager. Padre Manfred Deselaers cammina fino in fondo al sentiero, sbarrato da una fila ordinata di alberi. Poi si volta e torna verso la sua Golf. “Vengo a Birkenau ogni settimana, per pregare e ricordare il motivo per cui sono qui”. E’ un gesto che padre Manfred, classe 1955, sacerdote cattolico, ripete ormai da venticinque anni. Da quando nel 1990, poco dopo la fine del regime comunista di Varsavia, decise di lasciare la Germania e di stabilirsi a Oswiecim, la città polacca ai margini della quale sorge il simbolo dell’Olocausto. Auschwitz è il nome con cui i nazisti la ribattezzarono dopo averla occupata nel 1939.
Manfred Deselaers, fino a prova contraria, è l’unico tedesco che vive a Oswiecim. E’ considerato un pioniere della distensione tra Polonia e Germania e di quella tra ebrei e cristiani. E’ la missione che s’è dato, il senso del lavoro che svolge presso il Centro per la preghiera e il dialogo, struttura istituita dalla chiesa polacca con l’idea che la riflessione su Auschwitz possa servire a colmare i fossati scavati dalla storia. Eppure il sacerdote è categorico: riconciliarsi non significa che polacchi e tedeschi, ebrei e cristiani, arriveranno un giorno a percepire Auschwitz allo stesso modo. Impossibile. “Lo capisco quando ospitiamo nel nostro centro studenti tedeschi e polacchi. Hanno prospettive diverse. I primi si chiedono se avrebbero cooperato con il Reich, appoggiando le tesi razziali e i massacri. I secondi s’immaginano nei panni dei prigionieri polacchi, domandandosi se avrebbero rubato il pezzo di pane del vicino. Quanto agli ebrei, Auschwitz è semplicemente il buco nero che ha inghiottito il loro popolo”.
Le visioni variano anche nel momento in cui a plasmarle è la fede, ragiona Deselaers. I tedeschi s’interrogano la coscienza da un punto di vista cristiano. I polacchi fanno lo stesso, seguendo però anche schemi legati al concetto di martirio – Auschwitz è il luogo del sacrificio di san Massimiliano Kolbe, un francescano polacco: offrì la sua vita per salvare quella di un connazionale, padre di famiglia. L’approccio degli ebrei – “decisivo per capire Auschwitz” – si fonda invece sulla convinzione che il principio biblico dell’alleanza tra Dio e gli uomini sia l’indiscutibile cardine della società. Malgrado Auschwitz.
Deselaers affronta la fatidica domanda: dov’era Dio, in quei momenti? “Nella dignità dell’uomo. Dio lo ha creato a sua immagine e somiglianza. Significa che Dio è nell’uomo e che l’uomo è pertanto degno di essere rispettato”. Il sacerdote prova a semplificare soffermandosi sul nodo cruciale della sua tesi di dottorato, incentrata sulle memorie di Rudolf Hoss, il comandante di Auschwitz. “Hoss, davanti allo sterminio, si pone dei dubbi. Fa fatica a guardare sua moglie, i suoi figli. E’ qui che incontra Dio. Sente una voce che lo implora di rispettare la dignità dell’uomo. Ma la sopprime, uccidendo la sua stessa umanità”, dice padre Manfred nel suo studio. Su una mensola campeggiano una Madonna di Czestochowa e un candelabro a sette braccia, l’una accanto all’altro.
La dignità, dunque. E’ la chiave di comprensione di Auschwitz e il punto d’incontro tra popoli e fedi. “Le parole impresse sul Memoriale di Birkenau – For ever let this place be a cry of despair and a warning to humanity – ci devono insegnare questo. Se oggi udiamo un grido disperato dobbiamo capire che è un avvertimento, un invito a rispettare la dignità di qualunque popolo, di qualunque cultura piegata dalla sofferenza”.
C’è stato un tempo in cui padre Manfred queste cose le spiegava direttamente a chi visitava Auschwitz-Birkenau. E’ stato guida al campo. “Quando sei guidato cerchi di capire, ma quando guidi devi entrare nella storia, cercando le parole giuste. Questa storia, a volte, la sento troppo vicina. E’ dura da sostenere emotivamente. Un giorno, così, ho detto basta. Credo che il mio posto debba essere qui, al Centro per la preghiera e il dialogo”. Arriva un gruppo di giovani polacchi. Manfred li scorta in un’aula. Inizia a parlare, cala il silenzio. Tra poco spiegherà loro il senso della dignità.
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