Alexis Tsipras, leader di Syriza (foto LaPresse)

Socialismo allegro

Marianna Rizzini

Prendete un po’ di post marxismo. Aggiungete tanta gente che non ne può più dell’austerity. Condite con il pensiero no global. Insaporite con un pizzico di nazionalismo. Mettete a mescolare il tutto con un leader muscolare e fotogenico. Ecco la ricetta della sinistra radicale.

Roma. “Siamo qui per fumarci una bella canna – politica, s’intende”. L’aveva detto giorni fa Luciana Castellina, giornalista emerita della sinistra-sinistra ora in sollucchero per la vittoria di Alexis Tsipras, il compagno greco cui è riuscito ciò che ai compagni italiani mai riuscì. Ovvero vincere, vincere a due cifre, e con l’uomo giusto: quarantenne, energico, un po’ macho, socialista, vagamente caudillo (Tsipras era fan di Ugo Chávez), vagamente simile a un Lula, come dice il Financial Times, e vagamente rassicurante: la fidanzata del liceo che diventa moglie, la vita ritirata, i figli piccoli, i capelli a posto dopo una parentesi giovanile di ciuffi alla Elvis Presley su faccia da ragazzotto che nel 2001 vuole andare al G8 a Genova e viene fermato dalle forze dell’ordine, ma poi si laurea in Ingegneria. Vincere con quello giusto, dunque, pensano i compagni italiani, e non con quell’altro, quarantenne pure lui (Matteo Renzi), con un ex ciuffo pure lui. Sì, ha vinto, Renzi, e a due cifre, pure, e però, a guardarlo con gli occhi dei renitenti al Nazareno, più che una vittoria pare un castigo: l’hanno visto arrivare, i compagni italiani, il quarantenne di Firenze, carico di idee che cozzavano contro le loro (sbaraccare il Senato, sbaraccare la legge elettorale, accordarsi con il nemico pubblico numero uno). E poi l’hanno visto insediarsi, e cenare sereno con Frau Merkel. Beati i greci, pensano, beati i greci che hanno il quarantenne giusto: nuovo, scravattato, accaldato, oratore a braccio (come Renzi), e però vuoi mettere. Questo è socialista.

 

Socialista per forza, ma di un socialismo più sudamericano che sovietico, e a qualche ex compagno con memoria storica viene in mente quando, nel Pci meno ridanciano, si restava perplessi di fronte al macho-comunismo che si dispiegava sotto le palme nella Cuba di Fidel Castro (“tremendo, questo Castro”, diceva a un certo punto della serata il compagno riflessivo, ma c’era sempre un Francesco Villari pronto a rispondere: ma è il socialismo allegro, bellezza). E allora evviva: no marxisti pensosi, molto sirtaki e souvlaki, in quel di Atene, come ha scritto sul manifesto la stessa Castellina, con la memoria dell’antico arresto ai tempi dei colonnelli, ma con la felicità che dilaga alla vista dei tanti “vecchietti” che inneggiano a Syriza con “danze infuocate” nel “fumo degli spiedini”. Socialismo allegro, magari!, sospirano ad Atene gli italiani della Brigata Kalimera, gruppo di puro sostegno fisico e metafisico all’impresa di Tsipras-Zorba: tutto energia, vita, terra e amore diventa infatti Alexis per l’osservatore straniero stanco di poesie politiche confezionate a casa Vendola.

 

[**Video_box_2**]Il socialismo greco si fa rumba, e Tsipras emancipa la Grecia dalla “prepotenza della Mammona finanziaria”, scrive Paolo Flores d’Arcais su MicroMega (titolo “Basta Troike!”). Ma non è rabbia, è struggimento per lo Tsipras che non c’è, fantasma sognato sul Tirreno. Ed è tutto un gioire alla nouvelle vague di “Bella ciao” intonata di notte ad Atene, tutto un gridare “mitiko” con il manifesto, dopo la vittoria del compagno greco che neppure un anno fa, racconta Norma Rangeri, regalò alla redazione di compagni italiani una barchetta beneaugurante, a vele spiegate, “auspicio e pronostico” più per se stesso che per la brigata di sostenitori extraconfine, sembra però dire Rangeri, invitando la sinistra italiana a “riflettere molto”, e “anche in fretta”, mentre saluta l’avvento al potere della gauche “cosmopolita di nuova generazione, che cita molto Gramsci ma che intende lasciarsi alle spalle le pesanti zavorre novecentesche”. Ma chissà se la delusione del giorno dopo ha già colpito. Ecco infatti l’Alexis delle meraviglie che si sveglia, si alza, va a giurare (sempre senza cravatta), ma non prima di aver siglato l’accordo con la destra. E pare quasi di essere in Italia, dove, gira che ti rigira, devi pur avere i numeri per governare.

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.