Luca Paolazzi, direttore del Centro studi di Confindustria

Parla Paolazzi (Csc)

Perché gli industriali ora sperano (non poco) nel 2015

Marco Valerio Lo Prete

La spinta di Draghi a export e credito. Cercasi fiducia, no rischio politico. Il Centro studi dell’associazione degli imprenditori sottolinea quali sono i nuovi fattori propulsivi dello sviluppo nel nostro paese: "Oggi stimiamo una maggiore spinta dai principali fattori esterni al nostro paese". Parla Paolazzi (Csc).

Roma. Meglio andarci cauti con le previsioni, specie se di mezzo c’è la crescita economica. Da quando è iniziata la crisi, sono state più numerose le correzioni al ribasso che quelle al rialzo. Basti ricordare che l’esecutivo Renzi, al suo insediamento, stimò per il 2014 una crescita del pil dello 0,8 per cento, più bassa di quella prevista dall’esecutivo Letta uscente ma comunque rivelatasi decisamente più alta della crescita effettiva (che sarà invece negativa di circa 0,4 punti per l’anno appena concluso). In Confindustria di tutto ciò sono consapevoli, eppure in queste ore il Centro studi dell’associazione degli imprenditori ci tiene a sottolineare quali sono i nuovi fattori propulsivi dello sviluppo nel nostro paese.

 

“A giugno aggiorneremo le nostre previsioni, per il momento ci attestiamo sulle stime di metà dicembre di una crescita di mezzo punto percentuale nell’anno in corso. Oggi però stimiamo una maggiore spinta dai principali fattori esterni al nostro paese”, dice al Foglio Luca Paolazzi, direttore del Centro studi di Confindustria che ieri intanto registrava una lieve ripresa della produzione industriale a gennaio (più 0,3 per cento). Gli “impulsi sostanziosi” sono quattro: l’euro che si è deprezzato rispetto alle altre valute mondiali; il crollo del prezzo del petrolio; l’accelerazione del commercio mondiale; la diminuzione dei tassi d’interesse a lungo termine. Inseriti nei modelli econometrici usati a Viale dell’Astronomia, tali fattori determineranno nell’anno in corso “una spinta per l’Italia pari al 2,1 per cento del pil nel 2015 e un aggiuntivo 2,5 l’anno prossimo”. A dicembre la stessa Confindustria, dai medesimi fattori, si attendeva un contributo positivo che sfiorava appena l’1 per cento del pil. Lo slancio maggiore adesso è quello che verrà dal deprezzamento del cambio euro/dollaro, sulla scorta delle politiche espansive della Banca centrale europea: “Nel 2014 in media occorrevano 1,33 dollari per un euro, nel 2015-2016 si scende a 1,15 dollari per un euro, forse anche meno. Ciò sosterrà le nostre industrie esportatrici e favorirà pure un cambiamento dei prezzi relativi sul mercato interno a favore delle produzioni nazionali”, dice Paolazzi. Esempio basico: un paio di scarpe confezionate all’estero può diventare più caro di un prodotto made in Italy della stessa categoria.

 

“Si apre una ‘finestra’ di opportunità per ripartire. Ora o mai più”, dice Paolazzi, con un’espressione cara anche al ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan. Attenzione però: all’effetto-spinta descritto faranno da contraltare alcuni “filtri domestici”. Soltanto in presenza di una “fiducia” diffusa, le famiglie trasformeranno i risparmi derivanti da una bolletta petrolifera o energetica meno cara in consumi. E solo in presenza di una “fiducia” diffusa le imprese faranno confluire i maggiori utili in investimenti invece che sull’aggiustamento dei bilanci. Ieri l’Istat, su questo fronte, ha dato un altro motivo per sperare: a gennaio la fiducia delle imprese è salita a 91,6 (da 87,6 a dicembre), il massimo dal 2011; quella dei consumatori è a 104. Con i tassi a lunga in discesa, in Confindustria si attende pure un abbassamento del tasso sul credito alle aziende medio-piccole; queste in media pagano ancora un punto e mezzo in più rispetto alle concorrenti tedesche. Forse una “bad bank”, allo studio del Mef, aiuterebbe. Con il Jobs Act approvato, a Viale dell’Astronomia non si smetterà certo di chiedere ulteriori riforme strutturali. Con più enfasi sull’implementazione di quelle approvate e la manutenzione del settore pubblico.

 

A patto che non si rifaccia vedere l’instabilità politica. Un altro “filtro” domestico non da poco.

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