Vladimir Putin

Zar e vampiro, Putin non divora, assimila

Umberto Silva

Inauguro le mie considerazioni psicoanalitiche sui fantasmi e le fantasie dei potenti, ma anche dei politici meno abbienti, con una delle figure più inquietanti della nostra epoca, il presidente russo Vladimir Putin.

Inauguro le mie considerazioni psicoanalitiche sui fantasmi e le fantasie dei potenti, ma anche dei politici meno abbienti, con una delle figure più inquietanti della nostra epoca, il presidente russo Vladimir Putin, che ha appena dichiarato: "Ogni tentativo di riscrivere la storia è inammissibile e amorale". Ufficialmente ha pronunciato questa frase al museo ebraico di Mosca il giorno della Memoria, indirizzandola al governo di Kiev e accusandolo di accettare tra i suoi sostenitori gli eredi del collaborazionista Stepan Bandera. Ma come Freud insegna, le parole vivono tante vite, le intenzioni sono travolte e i destinatari si sovrappongono l’un l’altro: l’eco di quelle parole di Putin porta assai lontano, e vicino, nel cuore della sua complessa strategia mentale che, mentre dichiara la storia non più riscrivibile, di fatto la riscrive. 

 

La storia, già, di quale storia parla Putin? La storiaccia dei professori negazionisti e dei loro affiliati vestiti di borchie e pelli nere? Sì, anche, ma per lunga esperienza ho motivo di pensare che la storia di cui Putin va parlando sia innanzitutto la sua storia, al pari di tutti noi quando crediamo di parlare degli altri. Di che raccontava Hegel scolpendo i marmorei destini dello Stato prussiano se non del proprio stato psichico, un tantino pietrificato? Riscrivere la storia! Tutti, tranne il coriaceo Putin, forse, lo vorremmo; a partire dall’infanzia, in cui non eravamo amati come desideravamo; o dall’adolescenza, ove quel certo incontro con la prima ragazza potrebbe essere riscritto in modo assai più entusiasmante. Non parliamo dell’età matura, crogiolo di errori e di pagine fosche che vorremmo strappare. E a una certa età quanto pagheremmo per riscrivere tutta la nostra vita o quasi, o se non altro correggerla, mettere i punti dove vanno messi, tagliare certe lungaggini. Putin no, o almeno così dice. Je ne regrette rien, canticchia, memore delle allegre serate in dacia col Cavaliere, e nulla cambierebbe della sua infanzia e della milizia nella Stasi, dal momento che questo percorso l’ha portato a diventare capo di quel fatale impero che umiliò Napoleone e Hitler. Due esimi macellai che al contrario di Putin volevano riscrivere una storia secolare e che, per un po’almeno, effettivamente la storia del mondo cambiarono. 

 

Solo per un po’, e in questo sta la differenza: Napoleone conquista, Hitler conquista, Putin mostra ciò che da sempre è suo, o almeno tale reputa, o finge di crederlo con un tale impegno da sembrare più vero del vero. Napoleone era un parvenu, un soldatino, anzi un soldataccio che si fece re, imperatore, usurpando secoli d’illustri Merovingi, Capetingi, Valois e Borboni, umiliando un Papa, imbrattando le consacrate chiese con lo sterco dei suoi cavalli, infine stuprando la figlia di un vero imperatore austriaco; Putin è ben altro, un vero zar. O almeno tale è convinto di essere con una certezza che lascia allibiti dal momento che in apparenza dello zar non ha niente, ma proprio niente, un suo giardiniere. Invece è proprio uno zar, talmente zar da non avere bisogno di sembrarlo e neppure di esserlo; anche se certe usanze come la crudeltà – pensiamo ai marinai del sottomarino Kursk che soffocano nella sua ostentata indifferenza – ne mostrano la regale discendenza dal terribile Ivan.  

 

[**Video_box_2**]Tuttavia Putin non ha avuto bisogno di cacciare i Romanov né tantomeno li ha uccisi; indossandone il potere li ha piuttosto riportati in auge; inchinandosi al Patriarca, riedificando le chiese, Putin sigilla l’eternità della Russia. Qui sta la sua forza, nell’identificazione. Un conto è amorosamente, narcisisticamente, identificarsi, come Vladimir fa con gli zar, un altro sentirsi usurpatori, e Napoleone tale si sentì per tutta la vita, costringendosi a divorare qualsiasi cosa gli si parasse innanzi, come se solo così potesse cancellare lo spettro di Banquo e del re Duncan venuti a guastargli il banchetto. Putin non divora, assimila quello che già è in lui, o almeno sente esserci: Crimea, Ucraina, chissà che altro ancora. Agente segreto anche a se stesso, Vladimir dal nome vellutato e incantatore ambiguamente vive le sue storie, quella del mitico fondatore del regno, Vladimir di Kiev detto il santo, e quella del vampiro Vlad che impalò trentamila turchi e si prese i complimenti del Papa.

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