Nessuna perversione, il pol. corr. è figlio del liberalismo e dei suoi diritti
Il saggio sul politicamente corretto di Jonathan Chait apparso sul magazine New York – e di cui il Foglio ha pubblicato ampi stralci – ha sollevato un enorme dibattito in America e non solo.
New York. Il saggio sul politicamente corretto di Jonathan Chait apparso sul magazine New York – e di cui il Foglio ha pubblicato ampi stralci – ha sollevato un enorme dibattito in America e non solo. Chait, che pure è una firma di lungo corso, dice che mai un suo articolo si è avvicinato alla quantità di reazioni e commenti che quest’ultimo ha suscitato. Molti dei quali erano a loro volta politicamente scorretti, altri non passano nemmeno di striscio la censura linguistica di Facebook. Il punto di Archimede su cui l’autore solleva il mondo è questo: il politicamente corretto è “antitetico al liberalismo”, è un sommo tradimento dei princìpi della società liberale, è lo strumento con cui i membri più radicali della sinistra dipingono le idee a loro opposte come “fanatiche e illegittime”. Dunque esiste una sinistra liberale che ama il dibattito e odia i paletti del politicamente corretto, e una sinistra radicale e veteromarxista che il dibattito lo soffoca stabilendo arbitrariamente quali argomenti sono socialmente accettabili e quali no. Questa fazione traditrice delegittima gli oppositori, li dipinge come minus habens senza la tessera del club degli esseri pensanti, li priva del valore sociale supremo, l’uguaglianza. Una vergogna, insomma.
E infatti quando qualche anno fa un candidato al Senato americano ha detto che anche i bambini nati da uno stupro meritano di nascere, perché la vita di quegli esseri innocenti vale di più delle circostanze tremende in cui è stata concepita, la sinistra radicale e politicamente corretta ha demonizzato il pazzo retrogrado che ha osato violare le convenzioni ideologiche vigenti, mentre la sinistra liberale e volterriana ha invece applaudito sentitamente la sua libertà di pensiero, ha inforcato il monocolo e con argomentare paziente e aperto all’ascolto ha posto obiezioni ragionate. E’ andata così, no? No, non è andata così. Basterebbe questo esempio per sollevare l’aporia dell’argomento di Chait, che attribuisce un male intrinseco alla sua versione degenerata. Non è forse la liberale protezione per i diritti individuali e delle minoranze che ha generato una diffusa esigenza di protezione? Le minoranze etniche vogliono essere protette dalla discriminazione razziale, così quelle religiose, quelle di orientamento sessuale e via dicendo, fino ai transessuali arrabbiati con le femministe che pretendono di avere l’esclusiva sul concetto di donna. La criminalizzazione del dissenso non si confà allo spirito liberale, specialmente nell’America del Primo emendamento, quindi si procede per via culturale: per proteggere la libertà di ciascuno si vietano a tutti certi argomenti. Il filosofo liberal John Rawls aveva inquadrato il dramma dei disaccordi fra persone nella società liberale e proponeva di restringere il campo dell’argomentazione all’ambito di quella che chiamava “ragione pubblica”, un codice di riferimento condiviso e sicuro. Altrimenti detto politicamente corretto. Il panorama delle libertà che potrebbero essere lese si è talmente frammentato e quello dei nuovi diritti talmente gonfiato che il politicamente corretto ha dovuto partorire l’hate speech, strumento di controllo più sofisticato. La liberale difesa dei diritti, non la sua perversione, ha portato alla pratica politicamente corretta della delegittimazione, come dovrebbe sapere bene anche Chait, il liberale che ha dato dei “pazzi” agli oppositori dell’Obamacare.
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