Renzi di Tsipras e di governo
La visita del premier greco, una carta che Roma si giocherà con la Merkel (agli Stati Uniti piacendo). Ancora di più oggi il presidente del Consiglio è, per Merkel, l’uscita di sicurezza riformista dai rischi populistici.
Roma. “Serietà, prudenza, responsabilità”. Le tre parole concordate al telefono con Angela Merkel, Matteo Renzi le girerà oggi pomeriggio ad Alexis Tsipras. Come si vede esse non comprendono, né prevedono, cancellazioni del debito della Grecia, con l’Italia creditrice per 46 miliardi. Accenti diversi rispetto all’aiuto offerto dal ministro delle Finanze francese Michel Sapin (“sul debito si può negoziare”) al bullesco collega ellenico Yanis Varoufakis. Né il premier italiano si spenderà per il revival di quell’asse mediterraneo – dai tedeschi detto Club Med – inutilmente vagheggiato da Enrico Letta. A parte la scelta strategica renziana di dialogare direttamente con la Merkel, come si è visto a Firenze, c’è l’eterna ubiquità francese e l’indisponibilità spagnola.
Ma soprattutto l’idea dell’asse elide l’ambizione fin troppo scoperta di Renzi: essere mediatore con la Germania non tanto sull’entità del debito greco, quanto sulle modalità della restituzione; e non sul Grexit (uscita di Atene dall’euro) ma su una più flessibile – parola magica – applicazione delle regole europee. Che urga un canale di trattativa lo si è visto bene ieri, quando la cancelleria tedesca ha prima annunciato che non è in programma nessun incontro Merkel-Tsipras (per ora solo tra il ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble e Varoufakis), quindi ha precisato che Tsipras “è comunque benvenuto in Germania”. Stesso bailamme per la Troika Ue-Bce-Fondo monetario, che la Grecia non vuole più tra i piedi, con il presidente della Commissione di Bruxelles Jean-Claude Juncker possibilista, e però difesa da Berlino. Come spiega il sottosegretario renziano agli Affari europei Sandro Gozi, “ascolteremo le proposte di Tsipras per rinegoziare gli impegni dell’esecutivo precedente”. In linea con quanto detto il 27 gennaio dal ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan: “Spetta al nuovo governo dichiarare le proprie intenzioni”.
Ascoltare, dunque. E difendere gli interessi italiani: “Come creditori – dice Gozi – vogliamo che il debitore sopravviva, non strangolarlo”. Ma niente conferenze europee promesse da Syriza, evocative di quella di Londra che nel 1953 cancellò metà dei debiti di guerra della Germania. Padoan, che oggi incontra Varoufakis, ministro cult della sinistra sexy ateniese – motocicletta, camicia di fuori, testa rasata e cliccatissimo blog eurocritico (vedi l’articolo qui a fianco) – tenterà di riportare il collega con i piedi sulla terra. E lo farà con una serie di cifre e percentuali che dimostrano che su 320 miliardi di debito greco, le tranche dovute al Fmi e alla Bce, 20 miliardi, non possono essere neppure discusse pena il crac immediato del paese (se ne era reso conto anche il socialdemocratico tedesco Martin Schulz, presidente dell’Europarlamento, di ritorno da Atene: “Tsipras mette la Grecia in pericolo, non esistono elefanti rosa che suonano la tromba”).
Quanto all’Italia, ha erogato 36 miliardi con il primo Fondo salva-stati (Efsf) e 10 nel 2010-2011 di prestiti bilaterali: questi ultimi a 30 anni e tasso inferiore a quello che costavano allora i Btp; mentre l’Efsf ha concesso un allungamento al 2054 dei rimborsi, una sospensione degli interessi e il loro taglio di 100 punti. In altri termini: la Grecia paga all’Italia meno di ciò che l’Italia paga ai mercati. Il tutto non contando la partecipazione italiana all’imminente Quantitative easing della Bce, che senza l’ombrello europeo non potrà soccorrere Atene. Ai numeri di Padoan si affiancherà il dossier politico di Renzi. Alexis Tsipras non è nel format della sinistra renziana, né c’è il suo emulo spagnolo di Podemos, Pablo Iglesias. Nessuno dei due era sul palco della festa dell’Unità di Bologna dove si è esibita la sinistra riformista in camicia bianca: il francese Manuel Valls, lo spagnolo Pedro Sánchez, il tedesco Achim Post, l’olandese Diederik Samsom. Per non parlare della narrazione à la Vendola della sinistra kalimera italiana, antieuro come grillini e leghisti, opposizione che Renzi ha neutralizzato a differenza di quanto fatto in Francia con il Front national e in Spagna con Podemos. Altro argomento spendibile in Europa; così come l’impegno a “mettere il turbo” alle riforme, a cominciare da Jobs Act e Pubblica amministrazione, che sono l’esatto contrario dello statalismo di Syriza.
[**Video_box_2**]Ieri Stefano Fassina e Alfredo D’Attorre, della minoranza Pd, hanno inviato una lettera aperta al premier, in cui si criticava “la politica economica mercantilista fin qui seguita in Europa, fondata su austerità e svalutazione del lavoro”, si metteva in guardia dalla “subalternità” della famiglia socialista al liberismo e si invitava a sostenere “la richiesta di Atene di ristrutturazione del debito”. Probabile però che Renzi per il momento tenda di più l’orecchio allo sbilanciamento pro Tsipras di Barack Obama: “Non si possono continuare a spremere paesi in profonda depressione”, ha dichiarato alla Cnn il presidente degli Stati Uniti. Non ha fornito ricette concrete, ma non si era mai speso così per il precedente governo conservatore di Atene. Che per la Casa Bianca sia il tentativo di arginare le avances alla Grecia di Vladimir Putin (ieri Tsipras ha smentito di voler chiedere aiuto alla Russia) o l’ennesima punzecchiatura alla Merkel per recuperare un ruolo in Europa, la faccenda vista da Renzi, già nato obamiano, offrirebbe la tentazione di spendersi pure il fattore-Obama. Ma vale la pena? Anche alle variabili c’è un limite.
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