Roma e la mafia cravattara. La differenza tra un Riina e un pugno di delinquenti spiegata da un magistrato con le palle

Giuliano Ferrara

Salvatore Nottola, procuratore generale presso la Corte dei Conti. “Secondo me quando si parla di mafia a Roma si fa un errore", ha detto.

Mafia capitale è un modo di dire, per di più sbagliato. Lo afferma Salvatore Nottola, procuratore generale presso la Corte dei Conti, insomma uno dei più alti magistrati del paese. Lo dice chiaro e tondo in una riunione indetta per discutere del contrasto alla criminalità; lo dice a Roma in una scuola di Tor Sapienza, l’istituto intitolato a Giovanni XXIII. Queste  idee di Nottola devono aver provocato qualche imbarazzo pudico nella procura della Repubblica di Roma e nelle redazioni dei giornali nazionali molto impegnati a cantare le gesta di Massimo Carminati e Salvatore Buzzi come fossero Riina e Provenzano (escluso questo foglio che in solitario ha detto di pensarla altrimenti dai pm romani per alcune settimane).

 

“Secondo me quando si parla di mafia a Roma si fa un errore. C’è un’improprietà di linguaggio. La mafia è tutt’altro… Sarebbe pericoloso definire qualunque cosa mafia, si toglie il significato, la potenzialità pericolosa al fenomeno mafioso vero e proprio, che poggia su altre basi. Quella siciliana sul collegamento fra le persone, sulla gerarchia, sulla consuetudine antica. La ’ndrangheta, invece, si costruisce sull’alleanza delle famiglie e così via. La mafia romana è un’altra cosa. E’ una combriccola di delinquenti di matrice a volte politica, a volte semplicemente delinquenziale… Che poi ci siano dei collegamenti e delle alleanze episodiche tra questi fenomeni e personaggi mafiosi, è un altro discorso. Sono fatti accidentali, sono complicità. Ma la natura di questo fenomeno romano è ben altra, quindi si può distruggere molto più facilmente”.

 

Il parere di Nottola è troppo chiaro e autorevole perché la cosa sia lasciata cadere. Il magistrato è in Corte dal 1972, ha un’età venerabile, parlava ai ragazzi per educare alla legalità. Bisogna anche dire che l’inchiesta giudiziaria, denominata “Mafia capitale” con sospetta faciloneria, è nata male e sta finendo peggio. E’ stata annunciata come imminente nel corso di un convegno politico del Pd dal procuratore capo romano, l’esperto e rispettato Giuseppe Pignatone. Ad alimentarla hanno provato numerose e concordanti propalazioni giornalistiche estratte da migliaia e migliaia di carte processuali consistenti più che altro in intercettazioni suggestive, con risvolti grotteschi.  Che il circuito informazione-giustizia sia avvelenato da contiguità di ogni tipo, che esista un circo mediatico-giudiziario capace dei più assurdi numeri di acrobazia, lo si sa da tempo, e non solo in questo paese. Ma non si era mai ancora arrivati al punto di costruire su basi effimere una storia di mafia issata sulle spalle di filiere delinquenziali in cui i boss dei boss si scambiano pizzini verbali chiacchierando su una panchina nelle adiacenze di una pompa di benzina, e con un contenuto affaristico di seconda fila ingigantito ed enfatizzato oltre misura a scopo suggestivo.

 

[**Video_box_2**]L’attribuzione dell’aggravante mafiosa ha consentito forzature repressive, compresi i mezzi straordinari di indagine e l’applicazione dell’articolo 41 bis del regolamento carcerario, in conflitto con le garanzie cui hanno diritto tutti gli indagati. Ma il danno è sopra tutto civile, riguarda la credibilità della giustizia e l’assetto di una grande città italiana che è capitale della Repubblica. Prima che si smorzasse stranamente l’attenzione per questa immensa montatura, siamo ridiventati per un momento, con un sovrappiù di disprezzo disseminato a piene mani dai grandi giornali come il New York Times, un luogo penosamente infetto, irreconciliabile agli standard di responsabilità che sarebbero necessari per la convivenza. Ieri a New York si è dimesso lo speaker, il presidente, del Parlamento dello stato, il democratico Sheldon Silver, arrestato per una storiaccia di corruzione a vasto raggio che farà ancora parlare di sé nei mesi e negli anni a venire. Viene da suggerire cautela e misura, al New York Times e ai procuratori che inventano la mafia dei cravattari, la mafia che non c’è.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.