Morto un patto se ne fa un altro
Così si spiega la giornata turbolenta del Nazareno archiviato. A Berlusconi non poteva piacere un trattamento, da parte del presidente del Consiglio e segretario del Pd, meno bipartisan di quello che aveva ricevuto perfino da Pier Luigi Bersani. E poi c’è l’opposizione interna a Forza Italia - di Giuliano Ferrara
Una turbolenta giornata politica in Forza Italia ha seppellito il patto del Nazareno, lasciando che ne sopravvivesse la sostanza, cioè l’intesa per votare le riforme, ma non il vincolo a due che cade in seguito all’elezione di un presidente della Repubblica proposto con metodo unilaterale da Renzi (fatta salva la stima per la persona di Sergio Mattarella, todos caballeros). Una specie di morto-un-patto-se-ne-fa-un-altro. La faccenda è un po’ aggrovigliata, ma forse la si può spiegare.
A Berlusconi non poteva piacere un trattamento, da parte del presidente del Consiglio e segretario del Pd, meno bipartisan di quello che aveva ricevuto perfino da Pier Luigi Bersani. Un anno e mezzo fa Bersani, in un quadro aspramente conflittuale, con tutte quelle macchie del giaguaro da smacchiare, aveva sottoposto al Cav. una terna, e gli aveva consentito di esprimere un parere dirimente favorevole a Franco Marini; nell’ambito pattizio del Nazareno, subito dopo un voto decisivo al Senato di Forza Italia in favore di una legge elettorale ripittata in parte da Renzi a suo gusto, questa possibilità non gli è stata offerta. Per Berlusconi, imprenditore e uomo del privato che da vent’anni è in politica alle proprie condizioni, la mancata osservanza del significato di una stretta di mano non poteva che apparire la prova sinistra e offensiva di una inattendibilità dell’interlocutore. E questa è la base del tutto. Poi c’è un’opposizione interna a Forza Italia, quella degli amici di Raffaele Fitto, che si propone come una rivolta in apparenza rispettosa ma incalzante e radicale contro la leadership del Cav., con richiesta di primarie e congelamento dei suoi poteri carismatici. E c’è un’altra opposizione, quella di sua maestà, che viene dall’interno della maggioranza berlusconiana di Forza Italia e coinvolge il giro stretto dei collaboratori del presidente di quel partito; capeggiati dal focoso Renato Brunetta, questi lealisti critici intendono rovesciare integralmente lo schema del Nazareno e sono contrari alla sua gestione come si è configurata dall’inizio. Come sempre in queste circostanze, dilagano anche i personalismi, i rancori, le questioni di immagine e di carriera, non c’è da stupirsene.
Berlusconi ieri ha fatto fronte a questa doppia opposizione, a partire dalla sua delusione personale e dalla ricerca di uno spazio più autonomo in un quadro politico in cui il patto certo non è popolare tra gli elettori del partito, archiviando la forma del Nazareno e salvandone la sostanza d’intesa, punto per punto e solo a certe condizioni, sulle riforme in cantiere. Sono cose che fanno rumore ed eccitano ovviamente la curiosità inesauribile dei retroscenisti. Resta un problema politico. Esiste un’alternativa strategica a un accordo tra Berlusconi e Renzi per il proseguimento sensato della legislatura fino al 2018 come data limite? I due hanno ancora o non hanno più alcuna convenienza a mantenere l’equilibrio che ha reso possibile quel che abbiamo visto fino a ora, e rendono immaginabile molto altro? Può essere che un’alternativa esista, come suggeriscono noncuranti le rispettive propagande politiche di renziani e berlusconiani antipatto, ma nessuno ne ha ancora definito il carattere. Maggioranze risicate o allo sbando, in presenza di una nuova vocazione all’opposizione del più forte partito del centrodestra, non sembrano una soluzione realistica.
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