Il caso Iaquinta e la vergogna dei bignè
“Cena con i boss”. Come costruire un’indagine a misura di caporedattore. L'ex calciatore è indagato per una questione legata al possesso di due pistole che il papà aveva intestato al figlio. Risponde del reato di concorso in detenzione abusiva.
Spunta. E’ sempre la stessa storia, la stessa formula, lo stesso giochino giornalistico, lo stesso trucchetto giudiziario: ogni volta che c’è un’inchiesta condotta da magistrati che sperano di poter avere dalla propria inchiesta un certo riscontro mediatico succede sempre che all’interno di quell’inchiesta si introduce un magnifico bignè da offrire gentilmente ai giornalisti per rendere contenti i direttori, offrire un titolo ai caporedattori e dare la possibilità all’indagine di avere una sua forza, appunto, anche giornalistica. Spunta.
Questa volta la storia riguarda un ex giocatore della Nazionale, Vincenzo Iaquinta. Il papà di Iaquinta è uno dei 117 arrestati nell’ambito di un’operazione della Dda di Bologna contro la ’ndrangheta nel nord Italia e la storia che riguarda il figlio ha due lati importanti: da un lato l’indagine e dall’altro il bignè. Iaquinta è indagato per una questione legata al possesso di due pistole che il papà aveva intestato al figlio (armi che sarebbero state regolarmente detenute dall’ex calciatore, ma considerando il fatto che il papà, in seguito a un divieto, non poteva averle in casa, il calciatore risponde oggi del reato di – tenetevi forte – concorso in detenzione abusiva).
Più che l’indagine l’elemento che ci fa scattare sull’attenti riguarda una storia diversa ed è una “notizia” che i magistrati hanno inserito all’interno del fascicolo giudiziario senza che questa fosse un reato (eccolo il bignè). La notizia è questa: Iaquinta (forse) avrebbe partecipato una sera a una cena in cui erano presenti alcuni boss. Titolo dei giornali di ieri: Iaquinta, spunta la cena con i boss. Reato (immaginiamo) ipotizzato: concorso in cena potenzialmente mafiosa. Vedremo come andrà a finire l’indagine ma su un punto ci sentiamo di dire una cosa precisa che dovrebbe valere sempre, per chiunque, in ogni occasione: se c’è una notizia che può infangare qualcuno e non costituisce reato quella notizia non può essere offerta come un bignè ai giornalisti. Non è questione di garantismo. Semplicemente è questione di civiltà.
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