Il ministro delle Finanze greco, Yanis Varoufakis (foto LaPresse)

L'idea americana

Marco Valerio Lo Prete

Da dove nasce “l’offerta che non si può rifiutare” che Atene avanza sul debito. A Berlino c’è chi dice “ja”.

Roma. C’era una volta un giogo esterno che ai greci piaceva eccome. Gli archivi dell’Amministrazione americana, recentemente aperti alle indagini degli storici, sono colmi di richieste dei vari governi ellenici che, per tutti gli anni 50 e 60, quasi imploravano Washington di non allentare il programma di assistenza allora più in voga, il Piano Marshall, con tutte le munificenze e le pressioni politiche che vi erano annesse. Atene allora insisteva, al punto di esagerare – agli occhi di un’indispettita Casa Bianca – la propria “strategicità” nello scacchiere occidentale. Oggi la situazione è di tutt’altro tipo: l’elettorato greco, sostenendo in maggioranza Syriza alle ultime elezioni, ha manifestato una diffusa insofferenza rispetto all’interventismo della Troika (a trazione europea) nei suoi affari interni, soprattutto quelli economici. Il neo premier Alexis Tsipras sta recapitando questo messaggio in tutte le cancellerie del continente, alla ricerca di una difficile quadra per allentare il giogo esterno, senza però finire fuori dal seminato (cioè dall’euro). In questa difficile prova d’equilibrismo, però, un aiuto – innanzitutto intellettuale – sembra arrivare di nuovo dall’altra parte dell’Oceano.

 

La proposta avanzata dal ministro delle Finanze greco, Yanis Varoufakis, per ridurre il fardello debitorio greco – lo “swap” tra titoli pubblici nelle mani dei creditori ufficiali e nuovi bond indicizzati alla crescita o anche obbligazioni senza scadenza – in America convince tanti analisti, per esempio. “Un accordo che l’Europa non può rifiutare”, lo ha definito ieri sul New York Times Terra Lawson-Remer, parafrasando la nota offerta del “Padrino”. La ricercatrice del Brookings Institution, blasonato think tank tendenza liberal, sostiene che “con le attuali misure di austerity e gli attuali impegni di rimborso del debito, la Grecia non sarà mai in grado di tornare a reggersi in piedi da sola. Ma se Draghi e Lagarde (direttrice esecutiva del Fmi, ndr) mostreranno la loro leadership e s’incontreranno a metà strada con Tsipras, una soluzione vincente per entrambi diverrà possibile”. E c’è di più che un po’ di spin mediatico.

 

Alla Brookings Institution piace l’idea dei bond zero coupon abbozzata da Atene: “Hanno lo stesso valore facciale del debito greco attuale, perciò proteggono nominalmente il capitale prestato dai creditori, ma non imporrebbero il pagamento degli interessi in un momento in cui la Grecia fatica a crescere”. Perciò, sul New York Times, Terra Lawson-Remer esorta addirittura la Bce a rilevare tutti i crediti nelle mani degli stati europei così da rendere poi lo swap più facile.

 

Elena Panaritis, per undici anni economista alla Banca mondiale, poi tornata in Grecia dove fu eletta parlamentare socialista nel 2009, dice al Foglio che, “nonostante gli sforzi del governatore Mario Draghi, la Bce oggi rimane un’istituzione formalmente indipendente ma in realtà molto legata agli umori politici di certi paesi”. Oggi Panaritis ha abbondato il Pasok, continua però la sua attività di economista tra Grecia e Stati Uniti. La sua allusione al ruolo egemone e ostativo della Germania, paese in cui più forte è la paura delle perdite che potrebbero essere inflitte ai singoli contribuenti in caso di mancato pagamento del debito greco, non la spinge comunque al pessimismo: “Uno swap come quello ipotizzato, seppur da definire nei dettagli, sarebbe meglio di un semplice riscadenzamento della maturità del debito esistente. Decidere che Atene ricomincerà a pagare i creditori quando supererà una certa soglia di crescita nominale, diciamo il 3,5 per cento, da una parte incentiverebbe il paese e i partner a lavorare per la crescita, dall’altra garantirebbe davvero la riduzione del rapporto debito pubblico/pil. Un meccanismo simile ha funzionato egregiamente con i Brady bonds utilizzati dalla fine degli anni 80 nei paesi super indebitati dell’America latina”.

 

Secondo altri economisti, come Kenneth Rogoff (Harvard), quell’operazione, ideata da Washington (il nome deriva da quello del segretario al Tesoro Nicholas Brady) e implementata con l’aiuto di Banca mondiale e Fmi, non ha ottenuto risultati univoci.

 

[**Video_box_2**]Per questo ieri Carlo Cottarelli, di nuovo alto dirigente del Fmi a Washington dopo la parentesi da commissario alla spending review in Italia, non ha chiuso all’ipotesi, ma ha avvertito che “il diavolo sta nei dettagli”. In Argentina, per esempio, l’anno scorso fu sollevato il dubbio che le statistiche nazionali sul pil fossero state “truccate” al ribasso per evitare il pagamento degli interessi sui bond indicizzati alla crescita. Singapore all’opposto è citato dal Fmi come un paese in cui certezza del diritto e delle statistiche hanno garantito il pieno successo di uno schema simile. In Germania il think tank Diw, spesso critico con le politiche della Merkel, ha appena aggiornato un suo studio dello scorso anno in cui veniva argomentata la convenienza, sia per i debitori sia per i creditori, dei cosiddetti “Gdp-linked loans”.

 

Ora mancano da convincere Berlino e le altre cancellerie europee. Vaste programme.

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