E' l'ora del “perdono”?

Paola Peduzzi

Il mondo è pieno di debito, ce n’è oggi di più di quello esistente prima che scoppiasse la crisi finanziaria del 2007, e non soltanto in Europa: ora il debito relativo della Cina rispetto alla sua economia sta superando i livelli americani, dice uno studio pubblicato ieri dal Financial Times.

Milano. Il mondo è pieno di debito, ce n’è oggi di più di quello esistente prima che scoppiasse la crisi finanziaria del 2007, e non soltanto in Europa: ora il debito relativo della Cina rispetto alla sua economia sta superando i livelli americani, dice uno studio pubblicato ieri dal Financial Times. Secondo una rilevazione della McKinsey condotta su 47 nazioni, il debito globale è cresciuto da 57 trilioni di dollari nel 2007 ai 200 trilioni di oggi; in percentuale rispetto al prodotto interno lordo, è passato dal 270 al 286 per cento. Quasi la metà di questo aumento si è verificata nelle economie in via di sviluppo, ma per un terzo riguarda le economie avanzate. Anche il debito privato è cresciuto, pure se i settori finanziari sono andati stabilizzandosi: i paesi più vulnerabili sono l’Olanda, la Corea del sud, il Canada, la Svezia, l’Australia, la Malesia e la Thailandia (le eccezioni più significative si sono verificate in Irlanda e negli Stati Uniti).

 

“E’ come un palloncino, se schiacci fuori il debito da una parte, ti risalta fuori da qualche altra parte del sistema”, ha detto Richard Dobbs, uno degli autori del documento. In Europa sappiamo bene quanto si possa essere deboli e poco reattivi, in termini di politiche per la crescita, quando il debito è opprimente, e le Banche centrali fanno fatica ad adottare politiche monetarie normalizzanti senza provocare conseguenze sull’economia reale. Ora anche la Cina sta scoprendo l’effetto che fa: il suo debito totale, compreso il settore finanziario, è quasi quadruplicato in otto anni. Prima del 2007, era stabile e basso, e questo oggi indebolisce la capacità di Pechino di reagire agli choc che si verificano in occidente. Secondo lo studio, il debito cinese è ancora “gestibile”, ma certo la capacità della Cina di compensare la mancanza di crescita di buona parte del resto del mondo è sempre più ridotta.

 

Ci aspettavamo che, dopo anni passati a interrogarci su come evitare le trappole del debito, su come fare – e quando – le riforme necessarie a ridurre il fardello, una diminuzione del debito complessivo fosse quasi inevitabile. Invece no. E che cosa ne facciamo, allora, di tutto questo debito? McKinsey suggerisce “approcci freschi” come innovare i meccanismi dei mutui e di altri contratti a debito per meglio suddividere i rischi tra creditori e debitori; per prevenire altre crisi di debito, si possono “reschedule” i debiti in essere o anche stornarli, attraverso programmi di Quantitative easing. Gli approcci non sono poi del tutto nuovi, in realtà con questo dilemma conviviamo dall’inizio della crisi, da quando abbiamo dovuto decidere che cosa fare prima delle istituzioni e poi degli stati indebitati.

 

Il New York Times ha pubblicato ieri un bell’articolo, pure un filo simpatizzante, che sintetizza “il ritorno della nozione del perdono del debito”, determinato soprattutto dalla ribellione greca alle imposizioni europee. Non che fosse mai andata via, la nozione, se si pensa ai bailout di massa che sono stati fatti nel 2008, dopo che Washington decise di non “perdonare” Lehman Brothers, e poi di perdonare tutte le altre istituzioni finanziarie indebitate. A oggi, la nozione continua a restare indicibile e impraticabile negli ambienti tedeschi – immaginatelo voi, un articolo del genere, su un quotidiano tedesco – ma non è un mistero che paesi come l’Italia, la Spagna e il Portogallo stanno valutando il livello di misericordia che l’Europa è disposta a concedere alla Grecia per poi poterne chiedere un po’ per sé: come molti studi ed esperti americani spiegano, un po’ di debito condonato può portare a un sollievo in proporzione più grande, in termini di occupazione e crescita. Come spiega Kenneth Rogoff, economista di Harvard, non è detto che alleviare il debito poi inneschi soltanto comportamenti negativi, come dimostrano i casi di Brasile e Messico, perdonati e riformatori.

 

Il famoso “moral hazard”, faccio una cosa spericolata perché so che qualcun altro coprirà i miei rischi, mostra però che il circolo virtuoso non è automatico. Quando scoppiò la crisi dei mutui in America, per spiegare che cosa volesse dire, al fondo, “salvare le banche”, molti chiedevano: “Lo pagheresti tu, il mutuo del tuo vicino di casa?”. Si alzavano in risposta cori nervosi di “no”, non soltanto perché la solidarietà, in tempo di crisi, è merce introvabile ma soprattutto perché resta sempre il dubbio che il perdonato si riveli poi un recidivo. A livello di nazioni, il problema è di sistema, e come il palloncino citato da McKinsey si rischia di non abbassare mai davvero il livello di debito globale.

 

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi