Stefano Pessina

L'effetto Pessina avvicina la Londra dei denari a Cameron

Alberto Brambilla

Ed Miliband sta costruendo un muro contro i businessman per allargare il consenso popolare al prezzo di avere meno soldi per la campagna elettorale e molti uomini d’affari ostili al Labour. S’allarga la fronda dei manager solidali con Stefano Pessina (Boots). Nemmeno l’arcivescovo si sbilancia.

Roma. Il partito laburista inglese sta rapidamente costruendo una solida muraglia per distanziarsi dalla comunità degli affari della Gran Bretagna e soprattutto della City di Londra. Il leader Ed Miliband sta facendo tutto quello che è necessario per inimicarsi grandi aziende e fondi finanziari prima delle elezioni generali di maggio producendosi in attacchi spregiudicati a supposti evasori fiscali e avidi speculatori.
Miliband ha accusato i conservatori di non volere stringere i controlli sulle aziende che delocalizzano la sede fiscale per non pagare le tasse in Gran Bretagna in quanto sono tra i principali finanziatori del partito guidato dal premier David Cameron. “Troppi suoi amici finirebbero nella rete”, ha detto Miliband.

 

La sinistra sta recuperando consensi – nei sondaggi i laburisti superano di 6 punti i conservatori, 33 per cento contro 27 – ma al prezzo di avere meno soldi in cassa rispetto agli avversari per la campagna elettorale. I Tory stanno raccogliendo oltre due milioni di sterline al mese e puntano a raggiungere i 19,5 milioni entro maggio, i laburisti 12. Raccolsero 16,7 milioni nel 2010, contro gli 8 dei laburisti. Secondo il Financial Times, i Tory sono dipendenti da un ristretto gruppo di finanziatori danarosi della City tra i quali figurano dei fondi speculativi (hedge fund), ovviamente allergici all’iper-regolamentazione finanziaria. Su 59 tra i più ricchi manager di fondi, 27 finanziano il partito di Cameron, dice il Sunday Times. Tuttavia altri boss lontani dalla finanza si sono uniti alla truppa mentre altri imprenditori dell’economia reale restano tra i venti sostenitori più generosi.

 

I laburisti possono contare su meno supporter danarosi. Un atout per qualcuno, ma anche causa di qualche imbarazzo. Ha suscitato ilarità l’uscita del cancelliere ombra Ed Balls, incapace di ricordarsi il cognome di uno dei grandi sostenitori del Labour. A domanda ha risposto solamente “Bill”. Bill chi? E’ venuto fuori che il simpatizzante misterioso, nella testa dello smemorato Balls, era Bill Thomas, direttore della Co-op bank coinvolta in uno scandalo perché il disgraziato presidente, Paul Flowers, ex reverendo metodista, era un consumatore abituale di droghe sintetiche. Il premier Cameron ha avuto buon gioco a ridicolizzare la memoria difettosa dell’avversario con un caustico gioco di parole. “Bill Somebody non è una persona, bill somebody (to bill, far pagare il conto a qualcuno) è la politica dei laburisti”.

 

Al di là delle gaffe, i laburisti stanno conducendo una scomposta battaglia contro il mondo degli affari. La fronda verso i businessman è iniziata nel weekend quando Miliband, seguito da esponenti di spicco del Labour, compreso l’astro nascente Chuka Umunna, ha attaccato il boss della multinazionale anglo-americana della distribuzione farmaceutica Alliance Boots, l’italiano Stefano Pessina. In un’intervista al Telegraph Pessina aveva espresso preoccupazione per un’eventuale vittoria della sinistra: “Non aiuta l’industria, il paese, e non sarà utile nemmeno a loro”. Il quotidiano ha attizzato le polemiche con un titolo un po’ corsaro – con i laburisti al governo sarà una “catastrofe” – motivando la reazione scomposta degli interessati. Miliband e soci hanno insistito sul passaporto di Pessina accusandolo di non pagare le tasse in Gran Bretagna. Pessina risiede nel principato di Monaco e ha spostato il quartier generale di Alliance Boots in Svizzera prima della fusione con l’americana Walgreens lo scorso anno, per motivi fiscali dicono i critici.

 

[**Video_box_2**]Le accuse si sono trasformate in un boomerang per i laburisti. Pessina, 73 anni, possiede un impero transnazionale che in Gran Bretagna dà lavoro a 70 mila persone. Quanto basta per essere nella posizione di discutere le politiche economiche dei laburisti ormai distanti dai desiderata delle grandi imprese. Inoltre più del 40 per cento dei capi esecutivi delle società quotate alla Borsa di Londra sono stranieri. Lo stesso vale per un quarto dei presidenti.

 

In difesa di Pessina e all’attacco di Miliband si sono mossi pesi massimi e medi del business: un coro di critiche affilate. “Ha il diritto di dirlo e francamente gli attacchi personali sono pessimi” (Ian Cheshire, ex di B&Q). “Gli attacchi al business da parte dei laburisti porteranno a negozi chiusi, strade commerciali vuote, e allungheranno le code per le richieste di sussidi” (Lord Stuart Rose, ex di Marks & Spencer, già consigliere economico dell’ex premier labour Gordon Brown). “Se andassero al potere lascerebbero un deficit di bilancio enorme e manderebbero il paese in bancarotta” (Peter Hargreaves del fondo di risparmio e previdenziale Hargreaves Lansdown). “I laburisti sembrano volere zittire le voci dell’economia per guadagnare qualche punto in politica” (Lord Peter Levene, ex sindaco della città di Londra, già presidente di banca Lloyd’s). “Molte persone del business che conosco votarono i laburisti con entusiasmo nel 1997 e nel 2001 (èra Tony Blair, ndr); il modo in cui la loro leadership sembra avere trascurato tutti i presupposti in base al quale operano i mercati dev’essere una delusione per la comunità degli affari” (Simon Walker, direttore generale dell’Institute of Directors, organizzazione che riunisce capi azienda e dirigenti). E poi Nigel Rudd (presidente dell’aeroporto di Heathrow), Charilie Mullins (fondatore di Pimlico Plumbers, pronto intervento idraulico a Londra), Luke Johnson (fondatore di Pizza express, già presidente di Channel 4), Steve Smith (fondatore dei discount Poundland, “tutto a una sterlina”), Brent Hoberman (cofondatore del sito di viaggi lastminute.com già consigliere dei laburisti), Simon Woodroffe (catena di ristoranti “Yo! Sushi”). La polemica ha interessato anche l’arcivescovo di Canterbury. Justin Welby ha fatto appello agli imprenditori affinché “paghino il dovuto”, la loro “giusta quota di tasse” nel paese “dove guadagnano i soldi”, ha detto alla Bbc. Welby, che prima della “chiamata” era dirigente di multinazionali petrolifere, non ha però potuto fare a meno di criticare “l’incredibilmente complesso” sistema fiscale britannico. Alleluja.

  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.