Terrore contro gli infedeli: la ricetta del “moderato” imam di al Azhar
Ahmed al Tayeb, due giorni fa auspicava la crocifissione o la mutilazione per tutti gli sgherri di Abu Bakr al Baghdadi il sorboniano che piaceva in Vaticano.
Roma. Confidavano molto, in Vaticano, sul ruolo di mediatore del grande imam di al Azhar, Ahmed al Tayeb, colui che due giorni fa – guardando il rogo del pilota giordano trasmesso in mondovisione dal network del Califfato – auspicava la crocifissione o la mutilazione per tutti gli sgherri di Abu Bakr al Baghdadi, rompendo il silenzio che troppi, nella umma, avevano tenuto dinanzi alle scorribande delle milizie nere. Fino a qualche anno fa veniva a Roma e partecipava ai meeting di Sant’Egidio dando sfoggio della sua sterminata cultura. Parlava dell’occidente che aveva colonizzato e sottomesso l’Egitto, andava a fare visita al Papa copto dopo che qualche chiesa veniva data alle fiamme tra il Cairo e Alessandria. Si ricordava, in quei meeting, il suo dottorato di ricerca in Filosofia islamica alla Sorbona, quasi fosse garanzia sufficiente di moderazione. Poi, nel gennaio del 2011, la rottura. Benedetto XVI, all’Angelus del 2 gennaio, si disse addolorato per “il grave attentato contro la comunità cristiana copta compiuto ad Alessandria d’Egitto” che aveva causato decine di morti. Parlava della strage come di “un vile gesto di morte”, pari a quello “di mettere bombe vicino alle case di cristiani in Iraq per costringerli ad andarsene”. Immediata fu la replica del moderato al Tayeb, che definì le parole di Ratzinger “un intervento inaccettabile negli affari dell’Egitto”. Non solo, perché il Pontefice oggi emerito veniva accusato di avere “una visione sbilanciata su musulmani e cristiani” e gli si rimproverava di non aver “chiesto la protezione dei musulmani quando erano massacrati in Iraq”.
Subito dopo, l’imam decretò conclusa l’esperienza del dialogo con il Vaticano fino al giorno in cui il Papa non si fosse scusato pubblicamente delle dichiarazioni fatte. Una ferita che ancora oggi non è sanata, come ammetteva qualche settimana fa ad Avvenire il cardinale Jean-Louis Tauran, che del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso è il presidente. Scavando nella biografia e nel curriculum del dotto poliglotta sorboniano che oggi vorrebbe fare del vicino oriente una grande via Appia puntellata di tanti novelli Spartacus barbuti crocifissi, si scopre quanto poco moderato sia al Tayeb. Certo, nel 2007 fu tra i firmatari della lettera dei 138 saggi musulmani al Papa e ai capi cristiani in cui si richiamava la necessità del dialogo ma, andando a ritroso nel tempo, della vocazione dialogante dell’attuale imam di al Azhar si trova ben poco. Nel 2002, in qualità di Gran Muftì d’Egitto, illustrò la ricetta per porre finalmente fine al conflitto israelo-palestinese: “La soluzione al terrorismo israeliano si basa sulla proliferazione degli attacchi di martirio che terrorizzano i cuori dei nemici di Allah. I paesi islamici, sia i popoli che i governanti, devono sostenere queste operazioni di martirio”. Temendo d’essere stato poco chiaro, precisò poi che “le operazioni di martirio contro qualsiasi israeliano, inclusi i bambini, le donne e i giovani, sono legittime dal punto di vista della legge islamica”. Due anni più tardi, intervenendo a una tavola rotonda organizzata da Sant’Egidio a Milano, ci tenne a chiarire che “un conto è il terrorismo che colpisce innocenti, un conto è affibbiare l’etichetta di terrorismo a quella che è solo una reazione di autodifesa per proteggersi da qualcosa, come nel caso della resistenza nei confronti di forze di occupazione”.
Intanto, nel giorno in cui le milizie dello Stato islamico hanno raso al suolo la chiesa caldea della Vergine immacolata a Mosul, in Iraq, il Papa ha invitato a pensare “ai nostri martiri, quelli del 2015”. Pronunciando l’omelia a Santa Marta, Francesco ha detto di pensare a “quegli uomini, donne, bambini che sono perseguitati, odiati, cacciati via dalle case, torturati, massacrati. E questa non è una cosa del passato: oggi succede questo. I nostri martiri, che finiscono la loro vita sotto l’autorità corrotta di gente che odia Gesù Cristo. Ci farà bene pensare ai nostri martiri. Oggi pensiamo a Paolo Miki (gesuita crocifisso durante una persecuzione anticristiana in Giappone, ndr), ma quello è successo nel 1600”, ha osservato il Papa. “Pensiamo a quelli di oggi! Del 2015”.
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