In principio fu John M. Keynes
Da Piketty a phighetty, l'evoluzione degli economisti ormonali
Più di cantautori efebici e calciatori coatti, i nuovi sex symbol sono loro. Possibilmente palestrati e con impermeabili sadomaso (bene anche la giacca, purché stazzonata). I fichi, tutti neokeynesiani. Ormone e libero mercato non vanno mai molto d’accordo. Forse l’economia è la prosecuzione del liceo con altri mezzi.
Il Pettorale ha la meglio sul Capitale. Non c’è solo il testosteronico Yanis Varoufakis, ministro delle Finanze greco in tournée europea, con mise da bad boy che paiono ideate dagli stilisti più trasgressivi; ormai è chiaro, più di cantautori efebici e millennial, più di calciatori coatti, i nuovi sex symbol sono gli economisti. Possibilmente palestrati, con calvizie ormonali e mascelle ipertrofiche e impermeabili un po’ sadomaso di pelle, come il ministro delle Finanze di Atene; ma non è necessario. Va bene anche la giacca, al limite: però almeno stazzonata.
A Downing Street era forse dalla visita del Mahatma Gandhi (1931) che non si vedevano tenute così fantasiose. Ma si sa che l’outfit è il messaggio, e che la rockstar in gessato perde tutto e sembra un pensionato Inpdap. Dunque ecco queste star economiche in giro con un fregolismo sempre maggiore: come i loro colleghi musicali affamati da Spotify e dalla scomparsa dei dischi, anche i sexy economisti battono i palasport sempre più frequentemente. Ecco dunque a Roma Varoufakis, successo di pubblico e di critica, e però non ci si era ancora riavuti dalla visita di Thomas Piketty, della scuola francese delle disuguaglianze, venuto alla Camera dei Deputati a presentare il suo tomo planetario, il tomo di 950 pagine più grafici e appendici, “Il capitale nel XXI secolo”. Il tomo che tutti discutono e che nessuno ha letto. La Corazzata Potëmkin dell’economia mondiale.
Dunque, code lunghissime in piazza Montecitorio per omaggiare e ascoltare il neokeynesiano che sostiene che (il punto) G è inferiore a R, cioè la crescita economica è sempre minore della rendita, di qui la fondamentale iniquità crescente delle nostre società e la necessità di una patrimoniale globale. Lì, sulla piazza, lunga fila indiana tipo sentinelle in piedi assetate di economia, e anche molte signore fresche di parrucchiere per assistere all’arrivo di Piketty. E finalmente lui arriva, con blazer nero, e senza cravatta, e pantalone chiaro con risvoltino corto, scortato dalla sua editrice italiana Elisabetta Sgarbi (lei in un vestito verde acido, stivaletti puntuti sadomaso, occhialoni scuri): e le folle sono soddisfattissime, i due sembrano cantanti french touch pronti per fare baldoria su un aereo privato o rompere delle suite d’albergo. Tanta attesa. Il giorno prima, il tour aveva toccato l’Università Bocconi, presa d’assalto da jeunes filles en fleur meglio di un palasport per primari concerti adolescenziali. Dunque aspettative alle stelle. Infine si entra. Però invece di sentire un brano dei Phoenix tra lanci di biancheria intima, si assisteva a grafici e curve (“sempre gli stessi, uffa” secondo piccoli fan che avevano seguito già altre tappe della tournée) alla presenza di Fassina e di Cuperlo, e uno speech tutto in franglais dell’economista superstar, dove tra “the capitàl” e “les revenues” i fondamenti di economia politica erano sì un po’ più sensuali, però non si capiva niente.
Il cancelliere dello Scacchiere Osborne con il ministro delle Finanze greco Varoufakis. Era forse dalla visita del Mahatma Gandhi che non si vedevano tenute così fantasiose a Downing Street
Ma che sturbo. Cos’avranno poi questi economisti? Piketty, peraltro sosia (ma forse sono la stessa persona, con geniale trovata situazionista) del premier greco Alexis Tsipras, non vanta posture né mascelle degne di Varoufakis. E però sarà l’aria stazzonata, sarà quell’aura un po’ sulfurea di ménage furibondi e “Luna di fiele” fatta di cronache anche giudiziarie con la ex fidanzata ed ex ministra della Cultura Aurélie Filippetti, seratine in questura e tumefazioni e denunce, del migliore Polanski insomma. Del resto non conta solo il fisico: “La triste scienza, come viene da sempre definita l’economia, può attirare molte fanciulle, perché parla di come avvengono le cose, è politica senza fare politica, parla del futuro, prende posizione, dice cose intelligenti e ascoltandole fa sentire intelligente anche te”, dice Franco Debenedetti al Foglio. Se volessimo spiegare il fenomeno prendendo a prestito il modello keynesiano IS-LM e mettendo su un asse cartesiano una curva IS (interesse sessuale) negativa verso sinistra che si realizza quando c’è pieno equilibrio tra pettorali, dorsali, statura e capelli; e una LM (libido mentale) che realizza l’equilibrio tra buone letture, carisma intellettuale, accento esotico, che sale verso destra, ecco che la piena occupazione, cioè il cuccaggio assicurato, si realizza all’incrocio tra queste due curve, con posizioni diverse sul grafico: spostata in alto a sinistra in caso di Varoufakis; più a destra per Piketty, ancora più in là per un’altra superstar non fisicata, il Nobel Paul Krugman.
Generalmente, poi, gli economisti fichi sono tutti neokeynesiani e vagamente marxisti. Ormone e libero mercato non vanno mai molto d’accordo. Probabilmente l’economia è la prosecuzione del liceo con altri mezzi, e liberali e repubblicani non si son visti mai combinare molto. Mentre barbe e baffi stazzonati e occhiaie, e in tasca Piketty come una volta “Siddharta” o “Das Kapital”, sempre benissimo. Poi adesso questa nuova genia di economisti greci: qui si trovano i migliori immaginari ellenici, tra tycoon armatoriali ruvidi alla Onassis e leader brutaloni alla Panagoulis, e forse anche un nuovo genere letterario. E l’editore Harmony potrebbe mettere in cantiere, oltre alle serie Romance, Paranormal, Historical, un nuovo sottogenere “neokeynesian”, o “greek debt”, forse funzionerebbe.
Ma il fenomeno è più vasto. Ci sono statistiche, anche: un sondaggio su 100 università del Regno Unito mostra che gli studenti di economia son quelli che fanno più sesso all’università (4,88 partner sessuali durante il corso di studi, contro i 4,57 delle matricole iscritte a marketing e 4,44 di agraria, 3,18 quelli che studiano arte). E una letteratura, molto di nicchia: secondo un blog intitolato più o meno “Economisti lo fanno con le modelle”, che suggerisce i migliori approcci: al numero uno la frase: “Hai le curve giuste per soddisfare la mia domanda!”. Mentre per pura coincidenza si chiama Adam Smith, come l’autore della “Ricchezza delle nazioni” (1776) e papà di tutti i liberismi, il modello belloccio protagonista dell’edizione 2014 del reality “America’s Next Top Model”, in onda anche in Italia su Sky, subito categorizzato dalle vastità di internet in “frat boy” cioè ragazzone muscolare alfa delle confraternite da college. A voler essere precisi, con categorie che poi diventano molto mainstream, ricadrebbe invece nella categoria “bear”, cioè orso, anche Paul Krugman, che dalle colonne del New York Times invoca espansività, espansività (monetaria).
Però certo oggi il greco-francese non si batte. Come ascoltare la Callas che canta la “Carmen” di Bizet, o come l’“Andrea Chenier”, storia del poeta rivoluzionario greco-francese che perirà sulla ghigliottina, la pantera da salotto del Pireo con Economist in tasca è il top. Lo dimostra anche un’altra figura, meno celebre in Italia ma famosa in patria. Matthieu Pigasse, quarantenne capo di Lazard, consulente di Atene per la rinegoziazione del debito. Un metro e ottantasei per sessantasette chili, jeans stretto e camicia bianca, sembra Bernard-Henri Lévy però giovane, e esaltato ci raccontò, un tempo, per una vecchia copertina di Studio, che “la mattina faccio du banking; il pomeriggio la presse; la sera le rock!”; Pigasse è parte delle cordate che hanno salvato il Monde e Libération, mentre in proprio ha acquistato la rivista musicale fighetta Les Inrock (oltre a strimpellare, twitta solo di gruppi musicali semisconosciuti e possiede la prima copia di “London Calling” dei Clash, mentre da ragazzo aveva un gruppo che si chiamava Les mercenaires du désespoir, i mercenari della disperazione). Non ha casa né auto: “Odio possedere qualcosa”, dice, e abita all’Hotel Costes, predilige Christian Dior e i paesi in default a clima equatoriale: è stato consulente, in passato, del governo ecuadoriano e di quello boliviano di Evo Morales (a cui ha consigliato di nazionalizzare il gas). Anche Pigasse scrive i suoi saggi: l’ultimo si chiama “Eloge de l’anormalité” (Plon, 2014), una specie di Houellebecq con un’Europa di zombie eterodiretti, e incita alla rivoluzione partendo proprio dalla Grecia, “contro cui si sta commettendo una barbarie”. Naturalmente cucca tantissimo.
Insomma, ormai, quando arriva la band franco-ellenica, gli altri possono anche stare a casa. Quando è scoppiato il piketty-panic la primavera scorsa, quando si magnificavano le dotte citazioni, nell’agile tomo di 950 pagine, di Balzac e Jane Austen, un collega molto stimato, Branko Milanovic, uno dei massimi esperti mondiali di disuguaglianze economiche, docente alla City University of New York, aveva sbroccato: “Io pure ho messo Balzac nei miei libri. E pure Tolstoj! Ci ho messo pure Anna Karenina”. Ma non se l’è filato nessuno. Non ci ha il fisico (una LM troppo spostata a destra, non interseca la IS). Lo sfigato del liceo, insomma, che fa troppe citazioni senza arrivare mai al sodo, tipo Gianni di “Sapore di mare”.
Ma agli economisti brufolosi converrebbe andare a rileggere Keynes. Non tanto l’opera, quanto la vita. Rileggendo la monumentale biografia in tre volumi che lord Robert Skidelsky ha dedicato al grande economista britannico (Macmillan, Londra) si scopre un Keynes non solo riserva del Regno ma anche e soprattutto iperattivo piacione. Altro che “nel lungo periodo siamo tutti morti”: qui, una vita molto articolata, senza bisogno di cappottoni di pelle, ma assai divertente: la mattina, dal letto della famosa stanza di Bloomsbury affrescata da Duncan Grant, suo amante storico, “con figure di giovinetti danzanti”, prima di andare in ufficio al glorioso India Office, la lettura dei giornali economici, e molte telefonate ai suoi broker sparsi per il mondo, investendo per sé e per gli amici artisti che campavano grazie alle sue speculazioni. Poi si vestiva, bombetta e marsina, e andava a compiere il suo dovere di civil servant. La sera, a cena con Henry James. Nel 1925 sposerà la ballerina Lydia Lopokova, giunta a Londra al seguito di Diaghilev, già amante di Stravinsky; con un matrimonio molto osteggiato dai bloomsburiani gelosi e sospettosi della redenzione etero di Maynard (commento di E. M. Forster: “Quanto l’abbiamo sottovalutata, la ballerina”). Tra opere fondamentali (“Le conseguenze economiche della pace”, 1919), in cui si era molto opposto alle riparazioni imposte alla Germania e aveva insistito per l’annullamento del debito tedesco, senza successo, e inutili salvataggi dai ripetuti tentativi di suicidio dell’amica Virginia Woolf, Keynes fu non solo un esteta per nulla pauperista, ma anche il solo economista che si conosca ad aver fatto i soldi, per sé e per gli altri: il suo capitale passò dalle 317 sterline del 1905 alle 16 mila del 1919.
John Maynard Keynes
Per Skidelsky, era “un uomo brutto che amava la bellezza”. E non si sa cosa si attenda per fare subito un bel biopic, forse più interessante di quelli su geni e spie, re e regine e primi ministri disfunzionali e con la balbuzie.
Però economisti timidi che non hanno mai inviti il sabato sera dovrebbero anche ristudiare Karl Marx: in “Love and Capital. Karl and Jenny Marx and the Birth of a Revolution”, una nuova biografia della giornalista Mary Gabriel (Little, Brown & Company editori), vengono fuori le lettere della futura signora Marx, Jenny von Westphalen, sorella molto timorata di un ministro della casa di Prussia, che assalita in sporcacciate pre-matrimoniali dal barbuto autore del “Manifesto” non solo non protesta, ma come Marisa Berenson in “Cabaret” scopre invece un mondo nuovo e gli scrive euforica: “Non ho rimpianti, se chiudo gli occhi riesco a rivivere tutto quanto, e vedo i tuoi di occhi, sognanti!”, e sarà poi un matrimonio felicissimo, nonostante le numerose infedeltà del marito; mentre ancor più libertino è Friedrich Engels, co-autore del “Manifesto”: “I suoi occhi azzurri brillavano alla prospettiva di un’avventura, che fosse rivoluzionaria, o, anche meglio, sessuale”, secondo questa biografia un po’ Cinquanta sfumature di Marx. Engels sarà poi addirittura accusato di stupro da un signor Moses Hess, che gli imputa di aver molestato la sua signora, e la risposta sarà molto femminicida “la sua rabbia nei miei confronti è solo amore non corrisposto”.
Però qui si entra nella nicchia, o sottogenere, dell’economista zozzone, che è un genere per amatori. Anche Thorstein Veblen, celebre autore della “Teoria della classe agiata”, inventore di concetti come il “consumo vistoso” cioè tipo l’affettatrice per salumi Berkel che i padroncini della Brianza mettono in salotto, secondo alcune biografie fu cacciato dall’Università di Chicago e poi di Stanford per ripetute molestie a studentesse, come un personaggio di Philip Roth.
Ma il topos dell’economista molesto ricompare poi naturalmente nelle cronache recenti con le sporcacciate di Dominique Strauss-Kahn, di cui sia Pigasse che Piketty sono stati allievi. DSK, già capo del Fondo monetario internazionale e destinato all’Eliseo, e prima ancora ministro delle Finanze e docente di Economia a Paris X e a Science Po, già autore di opere fondamentali come “Inflazione e divisione del surplus: il caso dei ménages” (Éditions Cujas, 1975) dove ménages, per carità, sono le famiglie, è in questi giorni sottoposto a processo maschicida a Lille, per aver preso parte a serate molto movimentate e forse prezzolate. Già archiviato per il famoso assalto alla cameriera d’hotel nuovayorchese, adesso rischia anni di carcere e una multa da milioni di euro (mentre l’antica accusatrice d’hotel, signora Nafissatou Diallo, ha aperto un ristorantino, Chez Amina, è notizia degli ultimi giorni).
Però non c’è solo DSK: anche Nouriel Roubini, cioè “doctor doom”, il profeta di sventura che con la crisi finanziaria del 2007 ha notoriamente svoltato, tanto che la sua Roubini Global Economics fornisce oggi a pagamento profezie e vaticini per le migliori clientele internazionali, conduce notoriamente un’esistenza poco spartana. Già condannato dal comune di New York per una altana con jacuzzi abusiva in cui si tenevano cene e dopocene goliardiche, la sua ricetta per la serata perfetta, come una Maria Angiolillo o Marisela Federici dei derivati è “dieci ragazze per ogni uomo presente”; l’uomo però non manca di realismo: “Io sono brutto, ma le ragazze sono attratte dal mio cervello. Sono una rockstar tra nerd e sfigati”. E uno studente italiano che ha avuto la ventura di capitare a uno di questi party nell’attico a Financial District, tre piani con vista “pazzesca”, mostra ancora oggi le foto sull’iPhone, con scorci di signorine molto scosciate e arredi aspirazionali e narra di maggiordomi frizzanti e consumi molto vistosi, altro che Veblen (e però risvolti tristi: la fidanzata dello studente, a Milano, avvertita della serata a casa del celebre economista, conoscendone la fama, all’incolpevole ed entusiasta “sto a casa di Roubini!”, rispose con un “porco!” e un “ma sei andato a troie!”; di qui la fine di un rapporto transatlantico forse già doomed, predestinato).
Serietà, serietà. Ci vuole serietà. In Italia, sbaglierebbe però chi credesse che tutti gli economisti sono come il beato Giuseppe Toniolo, “grande nella scienza, visse altamente di fede; indagando le giustizie sociali, fra le cifre delle statistiche, s’alzò potente alle più sublimi idealità, a tutti noi lasciando in eredità, esempio e richiamo, una vita di bontà, di pietà, di fatiche che sfiorando la terra, fu tutta di cielo, e un’aspirazione fervida e continua a Dio”, come da eulogia funebre. Si sbaglierebbe insomma a pensare a personaggi solo crepuscolari, come l’economista Gildo Beozi del film “I complessi” (1965), grand commis cattolico esperto di Mercato Comune, fecondatore matrimoniale indefesso (oggi sarebbe vituperato anche dal Santo Padre) e cultore di micidiali sobrietà casalinghe, intese come vie punitive che portano al potere e alle benemerenze.
Certo, rimane l’esempio di un presidente-economista come Luigi Einaudi: che aveva sposato donna Ida Pellegrini, veronese, scelta soprattutto perché parsimoniosa. E c’è il famoso episodio sulle punizioni alimentari raccontato da Indro Montanelli, e sempre citato: invitato al Quirinale, il pranzo consistette in “prosciutto e melone, consommé, branzino lesso. Alla frutta, Einaudi prese dalla fruttiera una mela, e chiese ‘Ne vuole mezza?’”.
Cattolici o non cattolici, sobri o meno, alcuni economisti italiani non sono stati però privi di fascino, né di successo muliebre. A partire dalla massima fucina nazionale, la Banca d’Italia. Di Guido Carli, vaga somiglianza con Varoufakis, però non greco ma bresciano, si ricordano lo stile, la vasta cultura, ma soprattutto il successo di long term arrangement femminili: sul settimanale scandalistico Abc comparve in epoche lontane un celebre articolo intitolato “Il letto rotondo del Governatore”, dove si narrava di una torbida relazione con la sorella dell’attrice Giovanna Ralli; pare che fosse stato l’allora ministro delle Finanze, Luigi Preti, ad aver fatto seguire Carli dalla Guardia di Finanza, risentito per il diniego ad aprire filiali e sportelli nel suo collegio elettorale. Ma poi di Carli si tramanda soprattutto l’Opa duratura su Susanna Agnelli, che aveva portato il banchiere fino al comune di Monte Argentario, dove la signora era sindaco, a fare l’assessore al Bilancio, per dimettersi poi in malo modo causa ostruzionismo di giunte molto maremmane che lo insolentivano.
Lamberto Dini, già direttore generale, viene ricordato invece più che per l’estetica (curve IS-LM assai sbilanciate, tipo caso della trappola della liquidità) per un corteggiamento spiritato nel palazzo dell’Aracoeli a Roma a Donatella Zingone, vedova ed erede dell’industriale imaginifico fondatore della cittadina di Zingonia (Bg). Corteggiamento telefonico vintage a base di canzoni di Ornella Vanoni in sottofondo; ma anche meno leggendarie conquiste nello stesso palazzo Pecci Blunt, e, secondo una leggenda mai verificata, utilizzi finali e catastali di un appartamento messo a disposizione dal gestore del teatro Eliseo proprio di fronte alla Banca Centrale, quando ancora si batteva moneta.
Certo, storie forse minime, da commedia all’italiana, niente a che vedere con i fenomeni di stardom odierni e franco-ellenici. L’economista italico del resto spesso è antikeynesiano, dunque moderato, e spesso predilige il tweed al latex, è un po’ come un neomelodico rispetto al french touch. Con l’immaginario che ne consegue. Però nicchie anche interessanti, anche se forse di nicchia: c’è la scuola liberal-Gallo (dal calzino a righe): dal giovane presidente dell’Istituto Bruno Leoni, Alberto Mingardi, a Franco Debenedetti. Cantanti neoclassici (scuola di Chicago), un po’ come i tre tenori.
Per trovare qualcosa di più aggressivo ed esportabile, se ci fosse un talent per le nuove rockstar del pil si potrebbe però prendere la classifica stilata qualche anno fa da Novella 2000 dopo aver constatato gli affollamenti femminili intorno ai relatori del Festival dell’economia di Trento. La cinquina di testa vedeva al primo posto Luigi Zingales, e la didascalia spiegava e conteggiava: “Cadenza strascicata very America, piglio guru, capelli lunghi quasi garibaldini: peccato l’accenno di riporto che ricorda Renato Schifani prima maniera. Autografi: almeno 50”. Al secondo posto, Alberto Alesina, 30 autografi, “una rivalità col suddetto Zingales”, e “l’odore di Nobel sono stati un richiamo irresistibile per le studentesse accorse da tutta Italia”. Il terzo posto andava a Tito Boeri, animatore de LaVoce.info, “camicia bianca senza cravatta e zaino da eterno studente, è il Dylan Dog dell’economia. Autografi: circa 20, ma tante foto”. Quarto posto all’ospite straniero, come a San Remo, cioè il solito Roubini, e ultimo un certo Andrea Prat, torinese, docente alla London School of Economics, “un Laurence Olivier de’ noantri”. Autografi dieci.
[**Video_box_2**]Il settimanale diretto da Candida Morvillo non prendeva in considerazione però altre figure di alta considerazione curricolare ed estetica: innanzitutto la meglio rockstar europea, il governatore della Bce Mario Draghi, che combatte la sua battaglia tra rigidità (di bilancio) ed espansionismo (fiscale), e le cui foto in supermercati a basso prezzo in compagnia famigliare non ne sminuiscono il fascino; né veniva censito Salvatore Rossi, direttore generale della Banca d’Italia, chioma candida mattarelliana, intellettuale fascinoso pugliese già a capo del Servizio Studi di Via Nazionale. Né si nominava Filippo Taddei, alto alto, genere sellerone, trentottenne, dottorato alla Columbia di New York, professore di Macroeconomia alla Johns Hopkins University. E’ il responsabile economia del Pd.
Però forse il nome su cui puntare per un talent è quello di Lorenzo Bini-Smaghi, già nel board della Bce, da qualche giorno numero uno della francese Société Générale. Qualche vaga somiglianza con Luigi Tenco, avvantaggiato dall’araldica e da una consorte chic, economista anch’ella, Veronica De Romanis, forse l’X Factor ce l’ha lui. Però a Parigi dovrebbe almeno cominciare a fumare Gauloises, investire in un guardaroba di pelle, procurarsi delle occhiaie e un “Capitale”, di Marx o Piketty non importa, da tenere in tasca. E, soprattutto, abbandonare tutte quelle cravatte e quei completi blu e grigi: fanno così Troika.
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