Corruzione, Corte dei Conti e Governo. Cosa torna e cosa non torna. Parla al Foglio il ministro Madia
Altro che grida manzoniana, oltre la repressione c’è qualcosa di più: "Stiamo affrontando il tema appunto in termini strutturali, puntando sulla prevenzione e investendo su una riforma complessiva della pubblica amministrazione". Lettera del ministro Marianna Madia
"Le crescenti difficoltà gestionali connesse al perdurare della crisi ed il ripetersi di fenomeni di mala gestio e di corruzione, che pensavamo aver lasciato alle spalle, rischiano di incrinare oggi non solo il rapporto tra cittadini e classe dirigente del Paese, ma la stessa speranza di poter trarre dall'azione pubblica nuovo impulso per il ritorno su livelli di crescita soddisfacenti". Lo ha detto il presidente della Corte dei Conti, Raffaele Squitieri, nel suo discorso all'inaugurazione dell'anno giudiziario. Sabato il Foglio aveva affrontato il tema in un editoriale al quale ha risposto oggi il ministro della Pubblica amministrazione Marianna Madia.
Al direttore - Caro Cerasa, anzitutto le faccio i migliori auguri per il suo nuovo incarico. Ho letto il vostro commento di sabato scorso, critico verso il disegno di legge anticorruzione del governo: una “grida manzoniana”, secondo il Foglio, un testo sbilanciato sul versante della repressione e dell’aggravamento delle pene quando sarebbe viceversa necessario intervenire drasticamente nel rimuovere le cause che rendono possibili gli episodi di corruzione nella pubblica amministrazione.
Dal mio punto di vista, proprio perché avete ragione su questa impostazione, avete torto nel criticare l’iniziativa del governo. Noi in realtà stiamo affrontando il tema appunto in termini strutturali, puntando sulla prevenzione e investendo su una riforma complessiva della pubblica amministrazione. Francamente però dovrebbe essere evidente a tutti quanto il fenomeno sia grave in Italia, e quanto contribuisca al debito di credibilità nei confronti dei nostri partner europei e di chi vuole investire nel nostro paese. Le conseguenze del reato di corruzione sono tali, in termini di risorse depredate e di credibilità nazionale compromessa, che non mi pare affatto fuori luogo introdurre pene più dure, come prevede il nostro disegno di legge.
Tuttavia è vero: non si può affrontare la questione con una logica puramente repressiva o emergenziale.
Sul fronte della prevenzione, già con l’approvazione del decreto legge 90 sono stati dati nuovi poteri e una governance più efficace all’Autorità nazionale anticorruzione guidata da Raffaele Cantone. Con la nuova distribuzione di competenze sappiamo ora con chiarezza “chi fa che cosa” in termini di anticorruzione e trasparenza.
In precedenza questi compiti erano frammentati tra diversi enti, col risultato di una minore chiarezza e incisività. I nuovi poteri rafforzano l’azione preventiva dell’Anac, per esempio dandole la possibilità di proporre al prefetto il commissariamento, anche in parte, di un’azienda implicata in episodi corruttivi.
Tutto questo funziona all’interno di due grandi principi che potenziano la lotta alla corruzione: la trasparenza dei dati e il passaggio da controlli puramente formalistici a controlli assolutamente sostanziali.
La trasparenza è un’arma straordinaria nelle mani dei governi impegnati nella lotta alla corruzione. I dati aperti sono una scelta politica che non potete trascurare. Essi consentono di ridurre le zone di opacità nella spesa pubblica e contemporaneamente di abbattere costi e avere servizi migliori. Con i dati aperti e facilmente leggibili da parte dei cittadini si prosciuga l’acqua, sporca, dove nuotano gli squali della corruzione. I primi esempi sono i siti Openexpo e soldipubblici.it.
Sul fronte dei controlli negli anni si è assistito a un eccesso di obblighi formalistici e di dettaglio. Un sistema farraginoso che spesso imbriglia l’onesto e favorisce chi usa proprio l’intreccio normativo per eludere la legge. Lo stesso piano anticorruzione attualmente in vigore è un indigeribile tomo di 56 pagine, con 60 pagine di allegati. Come può essere efficace?
Per questo serve un documento più snello e fattivo, così come servono norme più semplici a partire dai settori chiave: verranno presto realizzati testi unici in tema di appalti, società partecipate e lavoro.
Non basta, però, avere solo norme più chiare. Occorre anche snellire i livelli istituzionali e semplificare i rapporti tra amministrazioni, perché altrimenti anche i rallentamenti diventano uno strumento che agevola l’illegalità. Ed ecco le leggi di riforma delle istituzioni che avranno come effetto collaterale – ma non casuale – un impatto anche nella lotta alla corruzione: dalla legge Delrio alla riforma del titolo V della Costituzione. Già, perché il ripensamento dell’intera macchina dello stato serve a restituire semplicità ai rapporti tra istituzioni. Sapere chi fa che cosa, e in quali tempi, è precondizione per combattere la corruzione.
Anche la riforma della Pubblica amministrazione, che questa settimana riprende il suo iter al Senato, è parte di questo processo. Essa punta, per prima cosa, al rilancio di una dirigenza pubblica di ruolo (e di qualità) che faccia da argine alla corruzione. Inoltre riorganizza la periferia dello Stato con l’introduzione dell’ufficio unico territoriale e interviene, rendendoli più efficaci, su alcuni istituti chiave (ma non sempre funzionali nel sistema attuale) come la conferenza dei servizi, il potere di autotutela, il silenzio-assenso.
Tutto ciò si inserisce in uno sforzo per alleviare quello che è definito giustamente “il logorante rapporto dei cittadini con la pubblica amministrazione”, attraverso l’introduzione della cittadinanza digitale e delle azioni di semplificazione che saranno operative, con certezza dei tempi e dei realizzatori, nei prossimi tre anni.
Cari amici del Foglio, altro che grida manzoniane: accanto a un sacrosanto inasprimento delle pene per i corrotti, stiamo costruendo uno stato più semplice e più amico dei cittadini, che è la vera premessa per combattere degenerazioni e malaffare nate e cresciute nelle pieghe di una burocrazia lenta e complicata.
Marianna Madia è ministro della Pubblica amministrazione
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