In cerca di autorevolezza, Obama si reinventa presidente secchione

Nell’intervista al giornale online Vox, tempio del giornalismo fatto sul piano cartesiano, il presidente americano ha detto cose molto interessanti, benché non rivoluzionarie. La rivoluzione è stata nel tono, nel registro della conversazione, nell’apparato iconografico che ha corredato il prodotto, insomma nella scelta e nella definizione del mezzo.

New York. Nell’intervista al giornale online Vox, tempio del giornalismo fatto sul piano cartesiano, Barack Obama ha detto cose molto interessanti, benché non rivoluzionarie, sulla redistribuzione della ricchezza, sulla polarizzazione politica di questi tempi, sulla fallace dicotomia fra realisti e idealisti in politica estera e molto altro. La rivoluzione è stata nel tono, nel registro della conversazione, nell’apparato iconografico che ha corredato il prodotto, insomma nella scelta e nella definizione del mezzo, che poi è anche il messaggio. Almeno così si diceva prima che inventassero la storia della disintermediazione, che doveva abbattere tutti i muri fra evento e pubblico, fra produttori e consumatori, lasciando che i nudi contenuti si scontrino con le nude menti, messaggio sprovvisto di mezzo. L’intervista di Vox è invece il trionfo della mediazione.

 

Non soltanto gli intervistatori hanno portato il presidente su argomenti di conversazione cari a loro e al loro pubblico, adeguati alla loro sensibilità di “data journalist”, ma ne hanno propiziato una metamorfosi comunicativa per la circostanza. Davanti alle telecamere di Vox Obama è diventato il presidente secchione, quello che spiega ogni fenomeno o idea con  dati che possono essere visualizzati in un grafico, parla di policy più che di politics, racconta che il rapporto disfunzionale fra il Congresso a cui ci si riferisce ossessivamente negli ultimi anni non è che una condizione strutturale del sistema: è un esempio classico della lettura controintuitiva di un analista che si affida ai numeri invece che ai travasi di bile per leggere un fenomeno. Obama normalmente predilige un linguaggio teorico, fumoso, insiste sulle affermazioni generiche, che sono più duttili, ma con Vox indugia sui dettagli e usa pure gli esempi dell’uomo della strada (“tutti abbiamo un parente o un vecchio compagno di scuola che…”), il classico espediente del data journalist per rendere digeribili informazioni che sarebbero indigeste se enunciate nella loro purezza teorica. E mentre parla sullo schermo appaiono complementi grafici, tabelle, titoli di giornale che documentano il punto in questione, istogrammi che trasmettono a colpo d’occhio quello che il presidente sta spiegando. E’ la strumentazione classica di Vox, ma di solito è applicata ai giornalisti o ad analisti ospiti che spiegano un concetto. Questa volta il maestro dei dati è circondato da torte quando si parla di disoccupazione, da carrarmatini in movimento quando dice che “nel Ventunesimo secolo non c’è una soluzione militare per tutti i problemi”.

 

[**Video_box_2**]A intervistare Obama sono stati Ezra Klein e Matthew Yglesias, due fra i maggiori promotori del giornalismo secchione e scomponibile in termini numerici, perché è lì, nell’inoppugnabile essenza matematica dei problemi, che questo tipo di giornalismo cerca autorevolezza. Torniamo ai nudi fatti, dicono Klein e gli altri, come se la scienza dei dati fosse immune dalle interpretazioni, e con un’intervista che per Obama è un esperimento linguistico inedito, si è buttato a capofitto nel mare dei dati che possono essere usati per ottenere la credibilità che il consumato linguaggio delle idee e dell’ideologia spesso nega. Obama si presenta così come il “data president”, leader secchione lontanissimo dal magniloquente maestro di retorica che guarda l’orizzonte quando pronuncia i passaggi più toccanti. Oggi farà un’intervista con Ben Smith, direttore di BuzzFeed, e forse gli daranno dei gattini da accarezzare.

Di più su questi argomenti: