Chi pensa che la carta è morta dovrebbe provare a sfogliare Charles
Allo scoperta del mag-book di successo che in Francia parla di politica "autrement", s'ispira a "George" di Jfk, ed è un po' il Vanity Fair del Palazzo.
Parigi. Si chiama “Charles”, da Charles de Gaulle, il primo presidente della Quinta Repubblica, è una rivista “gollo-marxista baudelairiana”, secondo la definizione data dal suo direttore e fondatore, Arnaud Viviant, un “mook”, più precisamente, cioé un ibrido tra un magazine e un libro, ed è soprattutto una meravigliosa risposta alla litania catastrofista del “non è più tempo per il cartaceo”. Dal 2012 esce a cadenza trimestrale, le 5.000 copie tirate vanno a ruba nelle librerie in cui è venduta, pesa 160 pagine, costa 16 euro, e il modello a cui si ispira è la rivista “George”, lanciata a New York negli anni novanta da Jfk, Jr., come il “Vanity Fair della politica”, così veniva soprannominato il magazine che debuttò con Cindy Crawford in copertina vestita da George Washington, Charles ha fatto suo lo slogan “Not Just Politics as Usual”.
Un numero di Charles e il suo direttore e fondatore, Arnaud Viviant
È una rivista che parla di politica “autrement”, in maniera diversa, smarcata, che rifiuta l’interpretazione semplicistica e binaria del mondo rifilataci quotidianamente dal sistema politico-mediatico, che ama raccontare le infinite sfumature e gradazioni di cui è composta la realtà che ci circonda, e lo fa con libertà di tono e squisita ironia. “A noi interessano le persone”, ha dichiarato il direttore, “noi parliamo della professione della politica”. Meglio ancora: “Cerchiamo di trattare la politica da un angolo che speriamo possa essere disperatamente nuovo”. E infatti al suo interno si trovano i deliziosi racconti di Michel Houellebecq quando non era ancora uno scrittore di successo costretto a ripetere quotidianamente che il suo “Soumission” non è un romanzo islamofobo, ma un informatico bruttino e decisamente sfigato dell’Assemblée nationale. O ancora le rivelazioni “torride” della fondatrice del Partito cristiano-democratico e fervente oppositrice del mariage pour tous, Christine Boutin, che dice “sono una peccatrice”, “amo il sesso”, e “non capisco cosa ci sia di strano se Dsk scopa con una ragazza giovane”.
C’è spazio per le confessioni dell’ex autista di François Hollande e per un’intervista fiume di otto pagine a Daniel Cohn-Bendit sui trent’anni dei Verts e sul loro futuro, ma c’è anche spazio per qualche inchiesta un po’ più scomoda e impegnata, come l’approfondimento sulla French-American Foundation, il vivaio delle élite-franco-americane, passaggio quasi obbligato per chi vuole contare un domani.
L’ultimo numero, il tredicesimo della breve ma intensa e redditizia vita di Charles, è dedicato a Jacques Chirac e alla Chiracmania, alla nostalgia del “vieux lion” provata dagli elettori di una destra neogollista oggi orfana di leader carismatici e al perché l’ex président è diventato un fenomeno pop (il settimanale Marianne dice addirittura “swag”).
A Parigi ha sostituito Les Inrocks in cima alla classifica delle riviste più patinate e underground di Francia, di quelle riviste il cui piacere è certo nei contenuti gustosi, ma è anche estetico. Charles è un magazine che vuoi possedere e mostrare agli altri di possedere. Piace molto a quella Francia che legge Frédéric Beigbeder e ascolta i suoi consigli cinematografici su Canal Plus, alla Francia di Saint-Germain-des-Prés e del Quartier Latin, ma il direttore e fondatore Arnaud Viviant giura che la rivista è anche “rivolta a coloro che sono in pensione” (e infatti, sulla copertina del sesto numero, campeggia l’ex premier socialista Lionel Jospin, in tenuta da tennis, accanto al titolo “Dopo la politica: Cinema, televisione, calcio, barca, affari, i nostri eletti si riciclano”). Tra i lettori impenitenti, dice Viviant, ci sarebbero anche fior fiore di ministri.
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