Il vescovo caldeo supplica Londra di rimandare in Iraq le sue truppe
Il vescovo di Erbil, la capitale del Kurdistan iracheno, mons. Bashar Warda, ha rotto il muro di chi predica come unica opzione il dialogo a tutti i costi.
Roma. “E’ difficile per un vescovo cattolico dire che si deve sostenere un’azione militare, ma bisogna farlo. Non c’è altra scelta, ora”. Il vescovo caldeo di Erbil, la capitale del Kurdistan iracheno, mons. Bashar Warda, ha rotto il muro di chi predica come unica opzione il dialogo a tutti i costi – anche con chi cosparge di carburante un essere umano, gli dà fuoco e lo sotterra sotto cumuli di macerie – e ha invocato le armi per piegare l’orda nera del califfo Abu Bakr al Baghdadi. “Ciò cui stiamo assistendo è ben peggiore rispetto a quanto accaduto in Afghanistan, con un numero maggiore di giovani che vanno a combattere per lo Stato islamico. L’azione militare è necessaria per cacciarli dai villaggi, così che la nostra gente e le altre minoranze possano farvi ritorno”, ha aggiunto il presule caldeo intervenendo alla Camera dei Lord britannica, dov’era ospite. Mons. Warda ha spiegato che solo con il “dispiegamento di truppe di terra” occidentali si potrà vedere qualche risultato, visto che i raid della coalizione non hanno fatto “abbastanza” per vincere la guerra che in meno di un anno ha comportato la scomparsa della bimillenaria presenza cristiana nella piana di Ninive. “Se siete politici – ha aggiunto dinanzi ai Pari del regno di Elisabetta II – vi prego di concentrarvi su questo”. Parole interrotte solo da Edward Leigh, deputato conservatore (e cattolico) di Gainsborough, che ha chiesto al vescovo se stesse suggerendo al governo di Londra di inviare, di nuovo, truppe militari in Iraq a dodici anni di distanza dall’ultima volta. “Sì”, ha risposto mons. Warda, osservando come l’esercito iracheno e i Peshmerga curdi siano poco addestrati e male equipaggiati per poter ambire a sconfiggere le squadre al servizio di al Baghdadi.
Ne va, ha detto, anche del destino dell’occidente: “Qualcuno dovrà pur combatterli”, ha aggiunto. Il prelato caldeo appare invece scettico sull’efficacia delle milizie cristiane che si stanno organizzando sulle colline del nord-est iracheno, come riportava qualche giorno fa il Wall Street Journal. Centinaia di uomini stanno facendo incetta di fucili in una ex base americana e, così armati, presidiano le proprie case dalle milizie integraliste che avevano passato l’estate marchiando con la “n” di nazareno le abitazioni dei non musulmani, cacciandoli o chiedendo loro di convertirsi. Intanto, il Sinodo straordinario dei vescovi caldei convocato dal patriarca Louis Raphaël I Sako ha lanciato un appello affinché “tutte le forze nazionali e internazionali” uniscano “i loro intenti per liberare al più presto i territori occupati e mettere in atto le disposizioni necessarie per proteggere i cristiani e gli altri iracheni, affinché tutti ritornino alle proprie case e vivano nella sicurezza e con dignità”. Richiesta subito fatta propria dal vicepremier del governo di Baghdad, Saleh al Mutlaq, che all’Associated Press s’è detto insoddisfatto del contributo straniero all’operazione per arrestare l’avanzata dello Stato islamico: “Non vedo uno sforzo internazionale adeguato alla minaccia dell’Isis”.
[**Video_box_2**]Chi chiede un intervento armato per fermare l’aggressione islamista è anche l’arcivescovo nigeriano di Abuja, il cardinale John Onaiyekan, invitato a Milano dal cardinale Angelo Scola nell’ambito degli incontri su come “evangelizzare le grandi metropoli oggi”, appuntamento che ha già portato in Duomo dalla fine del 2013 i cardinali Christoph Schönborn, Luis Antonio Tagle e Sean O’Malley. A giudizio del presule africano, “noi dobbiamo lottare per fermare Boko Haram e il governo deve usare anche le armi per proteggere il popolo. Finora ha fatto poco. Ora dicono che lo faranno. Ci spero, ma sono un po’ scettico”. A ogni modo – ha proseguito – “non basta condannare Boko Haram, perché che cosa insegna l’islam nelle sue scuole in Nigeria? A non rispettare le altre religioni. Se questo è il discorso normale, se i bambini crescono così, poi è chiaro che si crea un terreno fertile per l’emergere di Boko Haram o dell’Isis o di al Qaida”.
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