Addio Robin Hood tax. Il renzismo cancella anche l'ultimo simbolo del tremontismo
La Corte Costituzionale, non ravvisando alcuna giustificazione alla sovrattassa, dichiara oggi la sua incostituzionalità, per violazione dei principi di ragionevolezza e proporzionalità della norma.
Era il 10 maggio 2008, due giorni dopo l'insediamento del nuovo Governo Berlusconi, e l'allora superministro dell'Economia Giulio Tremonti, ospite della trasmissione di Lucia Annunziata, tuonò contro "le banche e chi incassa la rendita petrolifera". Il personaggio di Robin Hood iniziò ad essere citato qualche settimana dopo, a giugno, quando l'esecutivo licenziò in soli nove minuti e mezzo un decretone di finanza pubblica che di fatto anticipava la Finanziaria per il 2009. Tra le misure adottate spuntò appunto la Robin Tax, l'imposta intitolata a quel ladro galantuomo che rubava ai ricchi per dare ai poveri, un'addizione Ires del 5,5 per cento sui petrolieri e su tutte le imprese della filiera energetica con un fatturato superiore ai 25 milioni di euro. L'America era in piena crisi finanziaria, ma in Europa la bufera non era ancora percepita nella sua reale entità: l'attenzione del governo italiano era tutta focalizzata su quei fantomatici "extra-profitti" che un prezzo sostenuto del greggio stava generando, a detta del tremontismo.
"Fatti straordinari richiedono interventi straordinari", commentava il ministro con voce severa, promettendo che il gettito di Robin (la stima iniziale parlava di 1,3 miliardi all'anno, poi negli anni è leggermente calata) sarebbe finito in interventi dedicati ai meno abbienti. "E' una questione di equità", aggiungeva. Nacque così la "social card" per i poveri: le sue risorse furono reperite tagliando spesa qui e là e spostando poste di bilancio, non con gli introiti della nuova imposta, ma nell’immaginario collettivo e nella narrazione di Tremonti era Robin Hood a finanziare la carta acquisti. Che ubriacatura retorica!
Intanto, con modifiche e aggravi vari, la Robin Hood Tax ha vissuto per anni, generando in totale quasi 5 miliardi di euro. Risorse che, ovviamente, l'erario ha riscosso dalle società energetiche ma che queste, in un modo o nell'altro, hanno scaricato sui consumatori o compensato con minori investimenti e ridotti dividendi per gli azionisti (inclusi i piccoli risparmiatori). Per non farsi mancare nulla, la legge aveva anche stabilito il divieto di traslazione dell'onere economico conseguente all'addizionale a clienti e consumatori: ma era una classica grida manzoniana, inefficace, facilmente eludibile e dunque elusa.
Nel frattempo, il prezzo del petrolio ha subito prima una frenata e poi un calo deciso, per ragioni tecnologiche, geopolitiche e puramente economiche. Il mondo è cambiato radicalmente dal 2008 ad oggi, nessuno può parlare più di extra-profitti (per noi incalliti liberali non si poteva parlarne nemmeno allora, come provavamo a scrivere in questo paper dell’Istituto Bruno Leoni, ma tant’è). Tanto che la Corte Costituzionale, proprio non ravvisando alcuna giustificazione alla sovrattassa, dichiara oggi la sua incostituzionalità, per violazione dei principi di ragionevolezza e proporzionalità della norma (articolo 3 e 53 della Carta). Cala così il sipario – in pieno renzismo - sulla prima e più simbolica campagna del tremontismo di governo.
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