La nazione Brancaleone e le sue avventure (Quarta sponda compresa)
Che fare in Libia? Il premier Renzi dice che non si deve passare dall’indifferenza all’isteria. Calma. Ma nella guerra tribale intestina (così sembrava più o meno fino a ieri all’occhio indifferente) si inserisce un elemento nuovo, la radicalizzazione nel segno del Califfo, cioè di un progetto ambizioso, che ha già radici territoriali e soldi in quantità.
Armata Brancaleone, ha detto subito Beppe Grillo, che in quanto comico è tenuto alla semplificazione. Ecco, questo è il problema. Uno direbbe: accipicchia, Sarkozy Cameron e Obama ci hanno messo su questo casino in Libia, quattro anni fa mica un secolo, hanno sventrato un tiranno bistrato e pensionato, noi riluttanti ma consenzienti, e adesso bisogna sbrogliarlo il caos alle porte di casa. Mettere ordine. Infatti è sempre stata un’esagerazione ideologica parlare dei migranti come “invasori”, ma alla luce di quel che accade laggiù, sulla Quarta sponda, i barconi e i gommoni spediti da noi con migliaia di persone assumono un aspetto sinistro, ora li scortano i guerrieri avidi di guadagno e reclamano con i mitra i mezzi di trasporto dalla guardia costiera, e la gente ha paura, fobie si diffondono, si capisce.
Il premier Renzi dice che non si deve passare dall’indifferenza per la Libia all’isteria, e si capisce anche questo. Calma. Ma nella guerra tribale intestina (così sembrava più o meno fino a ieri all’occhio indifferente) si inserisce un elemento nuovo, la radicalizzazione nel segno del Califfo, cioè di un progetto ambizioso, che ha già radici territoriali e soldi in quantità, e si mostra parecchio intrattabile, non per i curdi, magari, che ce la mettono tutta, ma per l’occidente impegolato tra Siria e Iran e Iraq e Yemen certamente sì. Trasmettono le omelie di Al Baghdadi a Radio Sirte, diffondono video professionalissimi, elaborati con la consulenza dell’ufficio comunicazioni del Grande Decapitatore, e fanno vedere qualche decina di cristiani sgozzati in riva al mare, aggiungono che le truppe del Califfo sono ormai “a sud di Roma”, concetto geografico-strategico semplice come l’ipotesi caricaturale dell’armata Brancaleone in guerra. Tragedia e commedia all’italiana si miscelano in uno scricchiolio cupo e matto.
[**Video_box_2**]Che fare? Siamo concentrati giustamente sulle decisioni dell’esecutivo, sulla specifica responsabilità del Consiglio supremo di difesa, sulle prerogative del Parlamento e del Quirinale: non abbiamo la Costituzione più bella del mondo, che “ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali” (mettendo appena in salvo la necessità di difendersi)? Tutto molto importante. Figurarsi. Pare che lo stato maggiore già stia elaborando piani d’attacco per riportare alla normalità una terra islamica dove sventola la bandiera nera. Quella persona intelligente, equilibrata e compassata di Paolo Gentiloni, capo della diplomazia italiana, si è detto “pronto a combattere”, beninteso nel quadro della legalità internazionale, complicazione mica da poco visti i suoi tempi neghittosi, ma insomma si può fare, we can, podemos. Poi c’è un dettaglio: la nazione. Le guerre, quando non si abbia la fortuna di considerarle peace keeping o peace enforcing, due eufemismi gradevoli, sono un affare serio. Ci vuole quella che gli anglosassoni chiamano stamina, nel senso di fibra, capacità di resistenza, vigore. Bisogna che a scuola si dicano certe cose, si parli del principio di realtà, che il politico abbia il coraggio di nominare la parola forza, subito dopo accoglienza e misericordia e pace. Nazione vuol dire popolo e classe dirigente, se escludiamo sangue e suolo. Le istituzioni devono essere rispettate, non raccontate a cazzotti e pernacchie. I giornali e le tv dovrebbero seguire una narrazione meno irenista, per non dire frivola. Così gli intellettuali, perfino i letterati. Siamo pronti alla bisogna? Ditemelo voi.
Il Foglio sportivo - in corpore sano