Le moschee clandestine dove si predica la sharia
Intervista all'imam di Saronno, Io Cheik Nabijl al-Barid: "Io spiego ai fratelli che gli insegnamenti del profeta coincidono con la natura umana, e ogni musulmano deve dare il buon esempio”. Sarebbero settecento i luoghi di preghiera abusivi in Italia e gli islamisti fondamentalisti cinquemila, ma la stima fatta dal Viminale è stata calcolata per difetto.
Venerdì, giornata di Jumiah. Dopo la preghiera collettiva, all’esterno del centro culturale islamico di Saronno, provincia di Varese, incastrato in una piazzetta anonima fra i binari della ferrovia e un’officina meccanica, una donna velata parla a bassa voce e singhiozza. Alcuni giovani marocchini la consolano. Suo marito è appena stato espulso dall’Italia per le sue intemerate sul web a favore del Califfato e lei chiede ai “fratelli” un sostegno economico. Con l’allerta terrorismo, la politica di (relativa) tolleranza nei confronti di ogni manifestazione di fondamentalismo, cambia verso. Chiunque inneggi al jihad, anche solo sul web, viene rimpatriato.
Fino ad ora sono stati espulsi 11 musulmani filo-jihadisti, ma la lista si sta allungando. Si tratta di un’operazione di intelligence condotta discretamente dal Viminale per lanciare un messaggio inequivocabile alle frange più estremiste, che hanno costruito tante piccole enclavi salafite in tutto il paese. “Suo marito ha sbagliato. Ora bisogna stare attenti, i poliziotti sono furiosi”, spiega un immigrato marocchino, mentre scuote la testa. A pochi metri, un poliziotto, abiti civili, occhiali da sole, osserva la scena. Dopo la strage di Parigi, alcune moschee defilate, sorte nelle periferie di città e di cittadine, soprattutto al Nord, vengono tenute sotto osservazione. Anche se monitorare tutti i centri di culto, nati all’interno di associazioni culturali, in garage, scantinati, capannoni industriali, appartamenti privati, è tecnicamente impossibile.
Secondo l’ultimo censimento del Viminale, le moschee abusive sarebbero settecento, e gli islamisti fondamentalisti cinquemila, ma la stima è stata calcolata per difetto. Il centro culturale islamico di Saronno appartiene però alla “filiera yemenita”. In tutte le periferie della grandi città sono sorti molti centri islamici che hanno acquistato, con fondi che vengono dal Qatar: ex capannoni industriali di solito, per costruire moschee abusive – non riconosciute – e formare enclavi salafite dove si prega, si studia il Corano, si predica la sharia e si insegna l’arabo a molti italiani, soprattutto donne, convertiti. Anzi “tornate all’islam”, perché per i seguaci di Maometto tutti nascono musulmani, e quindi Inshallah, se Dio vuole, prima poi si torna nella culla della fede veritiera, inconfutabile e impossibile da riformare.
Le guide spirituali di questi centri sono spesso yemeniti. Arrivati negli anni 2000 dallo Yemen su invito di alcune associazioni islamiche, legate alla Fratellanza musulmana, per fare i predicatori itineranti, ora si sono stabiliti in Italia. Grazie a un permesso di soggiorno per motivi di studio religioso presso i centri che li hanno voluti come guide spirituali della propria comunità. Il Foglio ha voluto verificare una confidenza raccolta nei giorni angosciosi e concitati successivi alla strage di Parigi. Ossia che in Italia si sia creata una scuola di imam importata da Jamiat al-Iman, l’università della fede, fondata dallo sceicco salafita Abdul Majid Zindani, finito sulla black list del governo degli Stati Uniti, e definito nel 2004 “global terrorist”, sostenitore di Al Qaeda. Considerata dall’intelligence americana crocevia di mujaheddin, dove si è formato il primo talebano americano, John Walker. E dove, fra il 2010 e il 2012 si è recato anche uno dei sicari dei giornalisti di Charlie Hebdo: Said Kouchi.
In Italia si discute molto, da un decennio almeno, della necessità di formare imam italiani, ma nel frattempo nel nostro paese si sono stabiliti diversi “sapienti” provenienti dalla madrasa fondamentalista dello Yemen. Come conferma l’imam, lo Cheik Nabijl al-Barid, 32 anni, arrivato da Sana’a, nel 2004. “Ho studiato sharia, arabo e testi sacri all’università al-Iman”, spiega con un sorriso gentile e voce ferma. “Quando si studia per diventare sapienti dell’islam, poi si deve venire in occidente per soccorrere i propri fratelli”, aggiunge. “Non basta pregare cinque volte al giorno per essere buoni musulmani, bisogna sapere quali sono i comportamenti quotidiani corretti ”.
Najbil non è l’unico yemenita stabilitosi in Italia. Altri imam formati nella stessa università guidano le comunità islamiche a Cinisello Balsamo, a Brescia, a Verona, a Vicenza, a Roma. Per incontrare Nabijl, che fa una vita ritirata in un ex capannone industriale alla periferia di Saronno, bisogna attendere la domenica: il giorno dedicato agli italiani convertiti. Lui usa toni molto moderati e insiste sul fatto che l’integrazione è alla base dei suoi insegnamenti. Anche se è difficile capire a quale integrazione si riferisca, visto che in dieci anni non ha mai imparato una parola d’italiano. Come è difficile comprendere cosa voglia dire quando afferma che “fra leggi italiane e la sharia ci sono molte cose in comune (sic)”. “Mi piace l’occidente”, spiega a un giovane marocchino, sveglio e ardito, arrivato nell’ex fabbrica per tradurre l’intervista. “Cosa le piace dell’occidente?”, chiediamo. “Tutto, in particolare il rispetto per gli esseri umani”. Oibò. E cosa non approva? “I rapporti sessuali al di fuori del matrimonio: distruggono le famiglie e annienteranno la società”. Nabijl si sottopone alla breve intervista perché dopo i fatti di Parigi, tutti i rappresentati delle comunità musulmane hanno fatto circolare una sorta di direttiva: aprire le moschee e tradurre i sermoni in italiano. “Ma lei cosa insegna nei suoi sermoni?”, insistiamo. “Io spiego ai fratelli che gli insegnamenti del profeta coincidono con la natura umana, e ogni musulmano deve dare il buon esempio”. Lui vive al secondo piano di una palazzina-capannone nella zona industriale di Saronno. Fuori, si ode il cicaleccio di donne italiane. Tiziana-Nura dice di aver sognato il Corano, prima di tornare all’islam. Angelica-Fatima ammette di essersi convertita per amore, per sposare un uomo musulmano “Vede quella ragazza? - indica con un dito in direzione dell’ingresso - E’ una rumena, era cristiano-ortodossa, ora anche lei è tornata all’islam. Sono tantissimi gli italiani convertiti. Dei sermoni di Nabijl non capisco nulla, ma ha una voce ferma e possente e mi trasmette sicurezza, dopo che lo ascolto mi sembra tutto più facile”.
[**Video_box_2**]Saronno ha attirato la nostra attenzione per via della presenza dei predicatori yemeniti arrivati in Italia dall’università più radicale del mondo islamico, ma il panorama attuale descritto dagli investigatori dell’antiterrorismo è il seguente: ai gruppi legati alla Fratellanza musulmana, che si presentano come interlocutori moderati ma predicano la sharia e talvolta esortano al jihad, si sono aggiunti quelli formati da giovani albanesi, seconda generazione di immigrati in Italia, apparentemente integrati nella società, che stanno portando gli investigatori dell’antiterrorismo sulle tracce dei mujaheddin partiti e/o in partenza per la Siria. Senza dimenticare i macedoni, bosniaci, kosovari, che fanno proselitismo jihadista soprattutto nel Nordest e seguono le rotte della Turchia per raggiungere il Califfato. Senza sottovalutare l’attrazione e il fascino esercitato dagli insegnamenti del Profeta su molti italiani (si stima siano 150 mila gli italiani convertiti con una media di 5mila conversioni all’anno), che “tornano” all’islam, per sposare un dogma che offre certezze: un percorso che porta a una docile sottomissione, come quella raccontata nel romanzo Sumision di Michel Houllebecq. Un approdo sicuro che non prevede dubbi, azzardi, scommesse, battaglie condotte in sofferta solitudine in nome di un rovello che noi chiamiamo libero arbitrio.
Il Foglio sportivo - in corpore sano