Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella (foto LaPresse)

Cintura quirinalizia per Renzi

Salvatore Merlo

Geografia politica dei nuovi potenti del Palazzo presidenziale. Codici, regole, vecchi rapporti. Da Zampetti a Cabras. Cosa rivela il mosaico costruito attorno a Sergio Mattarella. E chi c’è dietro (guai per Renzi).

Roma. Poiché la grande burocrazia di stato rimane per Matteo Renzi una nebbia sinistra, popolata di presenze inafferrabili e un po’ ostili, è con un certo preoccupato interesse che Palazzo Chigi osserva la composizione della nuova squadra che Sergio Mattarella ha incastrato, come tessere d’un severo mosaico, attorno a sé, negli uffici del Quirinale. Ad aprile del 2014, in piena guerra ai poteri parrucconi, cioè a quei grand commis dell’état che per Renzi sono “un potere monocratico che non risponde a nessuno ma passa sopra a chi è eletto dai cittadini”, a Montecitorio si consumò, per mano del Movimento cinque stelle, ma soprattutto per scelta del nuovo Pd renziano, il cannoneggiamento e l’affondamento d’un uomo considerato inaffondabile, più eterno del Palazzo che governava da gran funzionario inamovibile: Ugo Zampetti, per sedici anni e cinque legislature segretario generale della Camera dei deputati, cioè dall’11 novembre 1999 capo dei capi della burocrazia parlamentare, l’uomo per il quale Pier Ferdinando Casini decise persino di modificare il regolamento di Montecitorio, trasformando un incarico a tempo determinato (non più di sette anni) in una rendita vitalizia. Zampetti venne travolto dal vento di rottamazione. E ad aprile del 2014, quando il gran funzionario si accostava all’età pensionabile (ha compiuto a dicembre 65 anni), l’intervento bullesco della nuova maggioranza renziana impedì una proroga di due anni dell’incarico, malgrado Zampetti, amico di Massimo D’Alema e di Casini, e pure di Dario Franceschini, avesse uno sponsor in quasi ogni corrente di centro, di destra e di sinistra. In quei giorni, uno scatenato Roberto Giachetti, vicepresidente della Camera, un po’ renziano e un po’ radicale, fu sentito gridare nell’ufficio di presidenza, a Montecitorio: “E’ tempo che Zampetti e il suo stipendio di 479 mila euro vadano in pensione”. E in effetti ce lo mandarono in pensione, rendendo così in un lampo crudele l’immagine d’un tempo scaduto per salamandre e volpi di Palazzo.

 

Si può dunque solo immaginare cosa pensino a Palazzo Chigi adesso che Zampetti è diventato segretario generale della presidenza della Repubblica, cioè colui il quale, assieme ad Antonio Cabras, suo braccio destro al Quirinale ed ex capo di gabinetto del poco amato (da Renzi) Fabrizio Saccomanni, tutto vede e tutto controlla – comprese leggi e decreti – ai piedi del trono di Mattarella. Le battaglie dei grandi burocrati sono battaglie poco appariscenti, ma lunghe e insidiose, impostate sul piano tecnico e giuridico, come sa bene Renzi, che a maggio s’era visto bocciare (provvisoriamente) le coperture del decreto sul bonus di ottanta euro. E se l’anziano Donato Marra, con Giorgio Napolitano, un po’ subiva il fascino protervo del Rottamatore, forse Zampetti, allievo pignolo di Leopoldo Elia, lui che ha preso il posto di Marra al Quirinale, potrebbe essere meno incline a perdonare giovinezza e leggiadria nella scrittura dei provvedimenti.

 

Poco spiritoso e poco incline ai conversari ma tutt’altro che musone, un po’ chiuso come carattere ma buon organizzatore, rigido e preparatissimo, giocatore di stile prudente e di grande esperienza, tutta la figura di Zampetti esprime una fiducia quasi assoluta nelle facoltà dei codici e delle regole contro quelle della vitalità e dell’istinto. E tutto ciò che Renzi intuisce e bolla con penosa amarezza come piccoli giochi d’equilibrio, astuzie della grande burocrazia romana, ipocrisie inerti della classe dei mandarini al potere, insomma tutto quell’apparato di leggi e codicilli, quella realtà oscura e burocratica che non c’entra niente con il rapido mondo di fantasia e decisioni del presidente del Consiglio, è invece il suo mondo e la sua cifra. Per sedici anni Zampetti è stato un Dio dietro il suo tavolo di noce a Montecitorio, come lo sarà adesso al Quirinale: l’occhio fermo e la mano che firma come un sigillo, guidando presidenti della Camera inesperti, sempre proteggendo da custode il Palazzo e i suoi alterni inquilini, persino l’impenetrabilità dei bilanci di cui è stato controllore e controllato, sempre ben voluto dal potere pre-renziano, che lo ha conservato e promosso al punto che il suo nome, per il Quirinale, circolava ancora prima di quello di Mattarella: non si sapeva chi sarebbe stato presidente della Repubblica, ma fosse stato Amato, Prodi, Finocchiaro, D’Alema, Casini… il segretario generale era comunque designato. Così trasversalmente ben voluto, dunque, che oggi qualcuno ironizza dicendo che gli sconfitti a vario titoli nella battaglia per il Quirinale, i grandi nomi usciti dalla porta, con lui rientrano tutti dalla finestra, compreso Enrico Letta, che subì il tradimento di Renzi ai tempi del governo di grande coalizione: Simone Guerrini, l’organizzatore di tutti convegni di VeDrò, l’associazione di Letta, è adesso a capo della segreteria del Quirinale. E di attenzioni, ricambiate, per sedici anni Zampetti ha riempito tutti i potenti del Palazzo. Il 19 novembre 2011 i fotografi appollaiati in cima all’Aula di Montecitorio scattarono le foto di un bigliettino che Letta fece avere nelle mani di Mario Monti, capo del governo, un minuzzolo di carta che conteneva queste poche parole: “Come posso esserti utile?”. Pochi giorni dopo Zampetti fece rinchiudere i fotografi in un angolo dell’emiciclo, così laterale da impedirgli l’uso dello zoom.

 

Oggi, a Montecitorio, il gran boiardo lascia allievi, amici e funzionari in ogni posizione, compreso l’attuale segretario generale della Camera, Lucia Pagano, tutti dirigenti che ha scelto e promosso lui, da quando fu voluto a capo della macchina della burocrazia parlamentare da Luciano Violante, prima che si bloccassero i concorsi e il ricambio interno. E insomma Zampetti appartiene a un’antropologia lontana da quella degli uomini di cui Renzi si fida e si è circondato, tutti alieni, come il segretario generale di Palazzo Chigi, Mauro Bonaretti, trapiantato a Roma dal comune di Reggio Emilia, e come Antonella Manzione, capo dell’ufficio legislativo di Palazzo Chigi, l’ex capo dei vigili urbani di Firenze. La previsione, diffusa, è che al primo scontro, Zampetti, con orgoglio parruccone, dei nuovi burocrati possa fare un sol boccone.

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.