Se il mondo diventa emoticon (e la politica pure) ecco le faccine per introversi e depressi
Il ministro degli Esteri australiano, Julie Isabel Bishop, nata nel 1956 e vice presidente del Liberal Party, bionda e alla moda, avvocato a cui, ventiduenne al primo lavoro in uno studio, venne chiesto di servire le bibite mentre il suo coetaneo maschio socializzava con i colleghi anziani, ha dato un’intervista a Buzzfeed.
Il ministro degli Esteri australiano, Julie Isabel Bishop, nata nel 1956 e vice presidente del Liberal Party, bionda e alla moda, avvocato a cui, ventiduenne al primo lavoro in uno studio, venne chiesto di servire le bibite mentre il suo coetaneo maschio socializzava con i colleghi anziani, ha dato un’intervista a Buzzfeed (sito internet fatto di inchieste serie e gallery di gattini). Ha risposto a tutte le domande soltanto con gli emoticon. Niente frasi, giri di parole, nessun “in qualche modo” o “diciamo”. Faccine, disegni. Tacchi alti, dolcetti, pollici alzati. Le hanno chiesto un giudizio sul primo ministro del suo paese, e lei ha risposto con l’emoticon dell’uomo che corre (indaffarato o in fuga? comunque Julie Bishop non ha aggiunto sorrisi). E di Vladimir Putin che opinione ha? Faccina rossa di rabbia. Invece un sorriso tranquillo e la spunta delle cose fatte riguardo ai rapporti con gli Stati Uniti. La fotografia del ministro degli Esteri intento a inviare smile e scarpe da ginnastica dal proprio smartphone, senza un consigliere che misuri e corregga le parole, è il segno (o forse l’emoticon) di un passaggio velocissimo verso un mondo nuovo, a portata di bambini: Putin è cattivo e mi fa arrabbiare, con l’America tutto a posto, vorrei diventare primo ministro ma per ora non posso dire nulla (faccina senza parole, con un segmento al posto del sorriso).
Non c’è spazio per alcuna profondità, per un ragionamento, ovviamente, ma nemmeno per chiacchiere, frasi fatte e virgolettati da mal di testa. Faccia allegra, faccia arrabbiata, faccia disperata, pistola, teschio, neonati, applausi. Non è più solo per teenager e per chat sfinenti in cui non ci si scambia nemmeno una vera parola: con gli emoticon si può anche governare il mondo, in modo apparentemente più lieve, più scemo anche. Si può parlare di Grecia, di Isis, di unioni civili, si può litigare anche molto bene (e un fanatico ha riscritto Moby Dick di Melville solo con emoticon). Ma bisogna essere sfacciati, nel linguaggio (politico) dei social e dei messaggi non c’è spazio per la timidezza. A parte le tre scimmiette, che non vedono non sentono e non parlano, a parte le lacrime e i cuori spezzati, è difficile esprimere disagio o voglia di fuggire, ad esempio. Il mondo degli emoticon sembra sempre in festa, sempre sicuro di sé, e il ministro degli Esteri a cui viene chiesto come si tiene in forma risponde con due ragazze che ballano, e saluta allegra con baci per tutti. Non c’è nessuno che stia in disparte. Così una designer, Rebecca Lynch, ha creato gli introji: emoticon per introversi. L’ha fatto dopo che il suo fidanzato l’ha lasciata perché voleva stare più tempo da solo e, poverino, non aveva nessuna icona per dirglielo. Così ha disegnato, per sofferenza amorosa, la faccina che fugge da una festa, la faccina infelice dentro una bolla, la faccina che si tiene il cuscino sopra la testa e non ha il coraggio di affrontare la giornata, la faccia piena di pensieri (rotelle) complicati in testa, la faccia che si sente sola in mezzo a tanta gente. E quella beata dentro la propria solitudine. Ci sono anche due faccine che si tengono per mano (“da soli insieme”) ma ognuno è in fondo perso dentro i fatti suoi.
Il Foglio sportivo - in corpore sano