Cari scrittori, gli appelli contro Mondadori-Rizzoli fanno ridere

Sandra Petrignani

Leggo la dichiarazione di Sandro Veronesi a Simonetta Fiori su Repubblica a proposito del progetto di fusione Mondadori-Rcs: "Dove non c’è concorrenza il mercato muore" e mi stupisco molto che Veronesi non si sia ancora accorto che il mercato è già bell’e morto.

Leggo la dichiarazione di Sandro Veronesi a Simonetta Fiori su Repubblica a proposito del progetto di fusione Mondadori-Rcs: "Dove non c’è concorrenza il mercato muore" e mi stupisco molto che Veronesi non si sia ancora accorto che il mercato è già bell’e morto. Devo dunque dedurre che per lui è vera concorrenza quella ora in piedi - sia pure traballante visto la sproporzione delle forze in campo - fra i due gruppi Rizzoli e Mondadori e gli alter ego Bompiani e Einaudi? E’ un’editoria felicemente abitabile questa per uno scrittore che abbia cara la letteratura? In realtà la costituzione di un supergigante editoriale, un Mondizzoli o un Rizzodadori o come si chiamerà, potrebbe persino finire per essere una cosa positiva, una cosa capace di aprire gli occhi a chi ancora crede di vivere nel migliore dei mondi possibili. Insomma cosa cambierà? Che un solo gruppo anziché due farà il gioco della tre carte nella distribuzione dei Grandi Premi? Che spingerà con più prepotenza i suoi vari autori ordinandoli militarmente in schiere ben attrezzate e sotto le varie bandiere: “possibili best-seller”, “giallisti da urlo”, “polizieschi chic”, “narratori sofisticati a cui far vincere lo Strega”?

 

In tutto questo che parte hanno gli scrittori che ora si agiteranno, firmeranno petizioni, cercheranno spazi di sventolati eroismi? Per difendere che? Lo status quo, la barzelletta letteraria di cui disponiamo in cui il valore di uno scrittore è deciso in Tv da gente che evidentemente non ha mai letto Proust perché troppo impegnata a conoscere i “libri di cui si parla” o quelli di cui si deve assolutamente parlare, libri spinti dai loro amici press-agent, libri di amici giornalisti, vignettisti, attori in vena di autobiografie, cantanti con la voglia irresistibile di mettere nero su bianco in un rutilante horror della propria vacuità?

 



 

Sarebbe bello se ci fosse un ravvedimento generale a partire proprio dagli scrittori ora "molto preoccupati", se non indignatissimi, e pronti a prendersela con i soliti cattivoni berluscononi e manageroni editoriali. Sarebbe bello se gli scrittori tornassero a credere di poter partire da se stessi, se fossero in grado di abbandonare la navona che non affonda, anzi salpa per lidi sempre più arraffoni e maneggioni e spietatissimi, e se ne andassero tutti insieme a fondare qualcosa di nuovo altrove, un nuovo sogno, una scommessa sul futuro dell’arte e della letteratura sottratte alla politica e agli scambi di poteri. Ma non solo gli scrittori, anche gli editor di valore che non ne possono più – a ogni nuovo testo che presentano in casa editrice – di sentirsi chiedere non “quanto è bello?” ma “quanto vende?”, e con loro altre persone di buona volontà, come si diceva una volta. Via tutti a fondare qualcosa di nuovo, di mai visto prima, via a cercarsi industriali sognatori pronti a scommettere su un manipolo di veri pazzi. Chissà che divertimento, allora, e quanti bei romanzi imperituri si tornerebbe a scrivere.

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