I russi e l'ambizione araba
Cosa può ottenere Putin partecipando alla guerra contro lo Stato islamico
La Russia cerca di inserirsi nello sforzo internazionale contro il terrorismo in Libia e questo tentativo potrebbe essere legato all’incontro tra il premier italiano Matteo Renzi e il presidente russo Vladimir Putin che, secondo indiscrezioni apparse due giorni fa, è in programma per marzo.
Roma. La Russia cerca di inserirsi nello sforzo internazionale contro il terrorismo in Libia e questo tentativo potrebbe essere legato all’incontro tra il premier italiano Matteo Renzi e il presidente russo Vladimir Putin che, secondo indiscrezioni apparse due giorni fa, è in programma per marzo. Sebbene ora si parli soprattutto di “soluzione politica”, non è un mistero che Francia e Italia stiano ancora pensando a un intervento militare, più in là nel tempo, forse quest’estate, se i colloqui tra le due parti libiche sotto l’egida dell’Onu dovessero fallire (potrebbe succedere). Questa ricerca di un ruolo da parte di Mosca ha a che fare con lo spazio crescente che i russi si stanno ritagliando nel mondo arabo, a partire dalla gravissima crisi di sicurezza in Siria che sta per entrare nel suo quinto anno per arrivare all’iperbolica visita di Putin al Cairo della settimana scorsa.
Lunedì 16 febbraio il viceministro degli Esteri russo, Mikhail Bogdanov, ha ricevuto nel suo ufficio di Mosca Mahmoud Abu-Bahia, che è il direttore dell’ufficio del primo ministro libico Abdullah al Thani (primo ministro, va specificato, del governo di Tobruk, quello riconosciuto dalla comunità internazionale e non dell’altro governo, quello di Tripoli). Il viceministro Bogdanov è l’uomo russo per tutti i dossier mediorientali, di casa nelle capitali arabe e non stupisce gli sia stato affidato un mandato esplorativo sulla Libia – alla Farnesina lo definiscono “il miglior diplomatico ed esperto di medio oriente del mondo”. Il giorno prima lo Stato islamico aveva messo su internet il video dell’uccisione brutale di ventuno cristiani. Bogdanov e Abu-Bahia hanno quindi discusso soprattutto di lotta al terrorismo e di alcuni non meglio specificati e imminenti accordi di cooperazione bilaterale.
Lo stesso giorno il presidente russo Putin ha porto le condoglianze per il massacro al suo nuovo più che alleato, il presidente Abdel Fattah al Sisi, con un messaggio che non contiene soltanto cordoglio, ma suona anche programmatico: “La Russia è pronta a cooperare con l’Egitto nel modo più stretto contro tutti gli aspetti della minaccia terroristica”. L’Egitto è il paese più coinvolto in questa crisi libica, lunedì ha mandato gli aerei per almeno due volte a bombardare alcune postazioni dello Stato islamico e sostiene Al Thani – come Mosca.
Il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov ha chiamato al telefono il suo omologo egiziano Sameh Hassan Shoukry per passare lo stesso messaggio di condoglianze e cooperazione. Quel giorno a New York la Russia presiedeva anche la seduta del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite dedicata in parte alla tregua (cosiddetta) di Minsk e in parte alla crisi in Libia e ha espresso “preoccupazione per l’espansione geografica delle attività terroristiche dello Stato islamico e più in generale dell’estremismo islamico”. Putin cerca un fronte finalmente non controverso mentre c’è uno stallo tesissimo in Ucraina – e una missione contro la presenza dello Stato islamico in Libia lo è. Renzi cerca appoggio sulla Libia, perché la cooperazione internazionale finora ha stentato a manifestarsi.
Il governo italiano cerca di ritrovare un ruolo nei grandi dossier esteri che per il momento è smarrito. La Libia è il posto giusto ed è pure più importante per l’interesse nazionale – potrebbe essere questo il ragionamento in corso – rispetto all’Ucraina dove la tedesca Angela Merkel e il francese François Hollande stanno ormai trattando in prima persona e hanno liquidato l’Italia, nonostante l’incontro organizzato a Milano il 17 ottobre 2014 tra Putin e il presidente ucraino Petro Poroshenko.
La Russia è determinata a non ripetere in Libia l’errore commesso nel 2011, quando diede il suo assenso a una generica missione di protezione dei civili libici e vide poi trasformarsi le operazioni Nato in un regime change dichiarato – ed è stato questo precedente ad azzerare in seguito ogni chance di cooperazione di Mosca con l’America e l’Europa in Siria e nelle relazioni con il presidente Bashar el Assad.
[**Video_box_2**]Il viceministro russo Bogdanov sta inserendo nel dossier libico la linea del Cremlino, che contiene implicitamente un elemento di sfida a Washington e all’atlantismo. Dopo il video del massacro di cristiani sulla spiaggia di Sirte messo su internet dallo Stato islamico, ha detto all’agenzia Tass che “questo è naturalmente conseguenza delle azioni dei paesi occidentali”. Bogdanov dice che la Russia è pronta ad assistere Egitto e Libia nella lotta contro il terrorismo e ha contatti con entrambi i paesi, “specialmente con il governo libico del primo ministro Abdullah al Thani, che Mosca riconosce come quello legittimo” e cita la guerra in due riprese contro i militanti ceceni – che iniziò contro i ceceni separatisti negli anni Novanta e finì (se davvero finì) contro ceceni ormai affiliati ad al Qaida e sostenitori del cosiddetto Emirato del Caucaso. “Abbiamo esperienza di lotta al terrore, nel nostro paese ci sono state manifestazioni dolorose di terrorismo. Comprendiamo il pericolo, è una minaccia universale. Lo Stato islamico è come un cancro, che si metastatizza e cresce in ogni direzione”. Altra stoccata contro l’America: “Ci dovrebbe essere un rifiuto del loro doppio standard, quello che applicano a sé e quello che applicano agli altri, da una parte gli islamisti sono buoni e dall’altra parte non sono buoni. Sono tutti la stessa gente”, ma per la Libia è tempo di aiutarsi a vicenda: “La comunità internazionale non dovrebbe occuparsi di chi ha la responsabilità storica, ma analizzare la situazione e trarre conclusioni da quello che è successo, per lavorare più unita e con efficienza”.
Parole chiare che lasciano intravedere sviluppi a breve termine, anche se il viceministro Bogdanov trascura di citare il sostegno russo al Partito di Dio in Libano (sciiti che combattono in nome del jihad) e la protezione strategica concessa all’Iran, che a sua volta appoggia Hamas nella Striscia di Gaza – anche questo un gruppo armato, perdipiù sunnita, che combatte in nome del jihad.
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