Il Senato vuole ratificare l'affido all'islamica. E non è detto che sia un buon affare, né per l'Italia né per i minori
Nel mondo islamico l’adozione è espressamente vietata dal Corano. E’ invece previsto un istituto chiamato “kafala” (letteralmente “fideiussione”) che configura una sorta di trasferimento di tutela del minore.
Nel mondo islamico l’adozione è espressamente vietata dal Corano. E’ invece previsto un istituto chiamato “kafala” (letteralmente “fideiussione”) che configura una sorta di trasferimento di tutela del minore dalla famiglia d’origine a un nuovo soggetto, su accordo delle parti siglato da un giudice o da un notaio nel paese d’origine del minore, che non cambia nome. Al compimento dei diciotto anni scioglie il rapporto con il tutore, che fino ad allora è tenuto al mantenimento, alla cura e all’istruzione del minore, ma che non può in nessun modo considerarlo farne il proprio erede, nemmeno quando è privo di figli propri. Elemento imprescindibile della kafala è la religione islamica di chi chiede di diventare affidatario. La questione di rilievo nelle situazioni in cui il minore si trasferisce dal paese d’origine islamico a un paese che non lo è. E’ infatti la Francia,¬ per i suoi rapporti con i paesi del Maghreb, a presentare il più ampio spettro di situazioni e contenziosi legati all’interpretazione della kafala, e perfino alla sua trasformazione in adozione piena, che a volte (assai raramente) riesce a essere realizzata nonostante il divieto coranico.
L’Italia non ha finora ratificato la Convenzione dell’Aia del 19 ottobre 1996, dove si prevede che la “protezione sostitutiva” di un minore, qualora non sia garantita nella famiglia d’origine, possa “concretizzarsi per mezzo dell’affidamento familiare, della kafala di diritto islamico, dell’adozione o, in caso di necessità, del collocamento in un adeguato istituto per l’infanzia”. Esiste dal 2013 una proposta di legge di ratifica, già passata alla Camera dei deputati e in procinto di essere sottoposta al voto del Senato, che renderebbe operativo anche per l’Italia l’accoglimento della kafala. Nella presentazione della proposta si dice che “è importante considerare che, tra i vari provvedimenti che ricadono nell’ambito di applicazione della Convenzione, sono inclusi quelli della kafala, unico istituto giuridico in grado di consentire l’accoglienza in famiglia dei minori il cui paese d’origine non conosce l’adozione, come avviene in alcuni paesi islamici tra cui il Marocco, nei cui orfanotrofi e istituti vivono circa 65.000 minori abbandonati… Attraverso il monitoraggio dell’autorità centrale sarà possibile affrontare caso per caso le delicate questioni di compatibilità tra il sistema giuridico italiano e quello islamico, e distinguere tra i vari provvedimenti di kafala (giudiziale o notarile, intrafamiliare o extrafamiliare, kafala su minori che hanno legami con la famiglia d’origine od orfani di entrambi i genitori e quindi abbandonati). Queste distinzioni permetteranno l’approvazione da parte dell’autorità centrale italiana dei soli provvedimenti che non si manifestino contrari alle norme nazionali in materia di protezione dell’infanzia e, più in generale, alle regole dell’ordine pubblico nazionale”.
E a essere convinto che la kafala sarebbe di per sé in contraddizione evidente con l’ordinamento italiano, è il senatore di Area popolare Carlo Giovanardi. Riconoscere un istituto che pone la condizione, per “l’affido dei minori abbandonati o comunque bisognosi di assistenza, che la famiglia accogliente sia musulmana o accetti di diventarlo” sarebbe, ha detto Giovanardi all’Ansa, “atto di sottomissione del nostro paese a un diktat che costringerebbe le coppie affidatarie a una conversione obbligata, in evidente contrasto con il diritto di professare liberamente la propria fede, sancito dall’art. 19 della Costituzione, nonché il principio costituzionalmente garantito e affermato anche a livello comunitario del divieto di discriminazioni fondate sulla religione di appartenenza”.
Sulla Nuova Bussola quotidiana, la docente di Geopolitica dell’islam Valentina Colombo ha ricordato che il Marocco è l’unico paese islamico ad avere avviato nel 2003 un protocollo d’intesa con l’Italia relativo alla protezione dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale, anche se rimane la necessità di garantire che “non siano troncati i rapporti con la famiglia d’origine del minore adottato, in ottemperanza al diritto islamico”. E sempre Valentina Colombo aggiunge che “l’istituzione della kafala, a meno che non si tratti di una fase temporanea necessaria per potere trasferire il minore sotto la tutela della legge italiana, non è nient’altro che un modo di creare figli di secondo livello, discriminati tanto nel loro paese di origine quando in quello di arrivo”.
Quello che a prima vista può sembrare uno strumento di accoglienza e di solidarietà può rivelarsi, insomma, oltre che stridente con i principi della nostra Costituzione, anche un pessimo affare per il minore.
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