In Italia il problema non è aver fatto austerity, ma aver fatto l'austerity peggiore d'Europa

Luciano Capone

Il Foglio anticipa l'esito di uno studio del Centro Impresa Lavoro. Il nostro sistema fiscale, il più pesante dei 28 stati membri, è aggravato da una tassazione sbilanciata. E per non fare debito l'Italia fa sempre la stessa cosa: aumenta le imposte e taglia gli investimenti.

Nei giorni di SwissLeaks e della diffusione dei dati bancari della sede ginevrina della Hsbc sottratti dal dipendente infedele Hervé Falciani, si ha la sensazione che la Svizzera sia un “paradiso fiscale”, il più grande paradiso fiscale d’Europa. L’idea trova conferma nell’“Indice della libertà fiscale in Europa” realizzato dal centro studi di ispirazione liberale ImpresaLavoro, che verrà diffuso nei prossimi giorni e che il Foglio ha potuto vedere in anteprima. L’indice analizza i sistemi fiscali di 10 paesi europei (Bulgaria, Francia, Germania, Italia, Lituania, Regno Unito, Repubblica Ceca, Romania, Svezia e Svizzera) che vengono valutati su una scala in centesimi sulla base di quattro parametri utilizzando i dati confrontabili di Eurostat e della Banca mondiale: struttura e peso della tassazione rispetto al pil, Implicit tax rate sul reddito da lavoro, capitale e consumo, complessità fiscale e livello di decentramento fiscale. Se nella classifica che va da 0 a 100 è la Svizzera ad essere il “paradiso fiscale” europeo con un punteggio di 76 (forte di una pressione fiscale al 28 per cento, di un sistema semplificato e decentralizzato), l’”inferno fiscale” dista pochi chilometri, ci si arriva con l’autostrada del San Gottardo, è proprio l’Italia che ha un punteggio di 42, uno in meno della Francia.



L’Italia ha una pressione fiscale tra le più alte d’Europa, al 44,3 per cento (anche se quella effettiva, escludendo cioè l’economia sommersa, supera abbondantemente il 50 per cento), inferiore solo a quella francese (47 per cento) e svedese (44,6 per cento). Ma a peggiorare il quadro c’è la composizione della tassazione che rispetto agli altri paesi europei è fortemente sbilanciata su lavoro e capitale rispetto ai consumi: ciò vuol dire che nel nostro paese i fattori produttivi sono tassati più dei consumi, un mix inefficiente che non può che avere un impatto negativo sul pil e sul potenziale di crescita dell’economia. Alle tante tasse esplicite si aggiunge anche quella implicita della complicazione, infatti l’Italia secondo i dati della Banca Mondiale ha un sistema fiscale fatto di 15 procedure che necessitano di 269 ore per essere espletate, il sistema fiscale più costoso e farraginoso d’Europa dopo quello bulgaro. Si tratta di un sistema costoso e inefficiente che scoraggia la creazione della ricchezza, che è una palla al piede per le imprese italiane che competono nei mercati internazionali e che in un mondo globalizzato, dove i capitali e gli investimenti si spostano in maniera rapidissima, erode anche le possibilità future di sviluppo.



[**Video_box_2**]Tra i tanti dati elaborati da ImpresaLavoro c’è un grafico che mostra l’andamento della pressione fiscale italiana rispetto a quella europea. Ciò che appare evidente è come già prima nel 1992, ma anche prima dell’entrata nell’euro e negli anni precedenti e successivi allo scoppio della crisi del 2008, i governi italiani abbiano risposto alle crisi fiscali sempre nello stesso modo: alzando le tasse. Se nel 2005 l’Italia aveva una pressione fiscale vicina alla media europea del 40 per cento, nel 2012 il peso del fisco è salito oltre il 44 per cento, 4 punti in più della media europea, che vuol dire circa 65miliardi di euro in più nelle mani dello Stato. L’Italia ha risposto aumentando le tasse perché, non potendo fare molto debito, non è riuscita a mettere mano alla spesa pubblica. Se si tiene conto della distinzione fatta a suo tempo dal presidente della Banca centrale europea Mario Draghi tra l’austerità buona che “riduce le tasse e la spesa pubblica” e quella cattiva che “aumenta le tasse e taglia gli investimenti”, allora ci si rende conto che il problema dell’Italia non è tanto quello di aver fatto austerity, ma di aver fatto l’austerity peggiore d’Europa.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali