La Germania stacca l'Italia sul lavoro, ma qualche incognita c'è
Record di occupati nella manifattura tedesca, mentre l’Istat vede nero sui lavoratori italiani. Da qui al 2050, è eurodeclino.
Berlino. L’Italia è un paese manifatturiero secondo in Europa solo alla Germania, ma “li riprenderemo”, promette il premier Matteo Renzi. Il problema: Berlino non ha alcuna intenzione di farsi superare, anzi allunga il passo: l’industria tedesca ha registrato l’anno scorso un record occupazionale. A fine dicembre le imprese del settore manifatturiero con almeno 50 dipendenti davano lavoro a 5,3 milioni di persone, il dato più elevato dall’inizio di rilevazioni comparabili, nel 2005. L’incremento, secondo l’Ufficio tedesco di statistica (Destatis), è stato dell’1,1 per cento su base annua (più 57.000) e ha interessato in particolare le aziende produttrici di autoveicoli (più 2,6 per cento), fatturati in plastica e gomma, apparecchiature elettriche e macchinari. Il risultato si inserisce in un trend di crescita che dura ormai da anni. In seguito alla crisi finanziaria, il numero dei dipendenti del comparto manifatturiero era crollato nel 2010 a 4,9 milioni. Da allora non c’è stato anno in cui non sia risalito.
In realtà è l’intero mercato del lavoro tedesco a proseguire nel suo boom: per la prima volta dalla riunificazione nell’ultimo trimestre del 2014 oltre 43 milioni di persone avevano un lavoro. Il numero degli occupati è cresciuto su base annua di 412.000 unità (più 1 per cento), ha comunicato Destatis. E la tendenza positiva dovrebbe proseguire anche nel 2015, prevede la Camera dell’industria e del commercio, che conta su un aumento di 200.000 unità (la metà di quanto registrato nel 2014). Notizie di senso opposto arrivano dall’Istat: nel 2013 in Italia risultavano occupate sei persone su dieci di età compresa tra 20 e 64 anni (in Germania, seconda in Europa dietro la Svezia, erano quasi otto su dieci). Solo Spagna, Croazia e Grecia fanno segnare dati peggiori dei nostri. I risultati giunti negli ultimi giorni dall’economia tedesca – prima il boom delle esportazioni nel 2014 (più 3,7 per cento), poi la crescita del pil nel quarto trimestre superiore alle attese (più 0,7), ora il record occupazionale – si inseriscono tuttavia in un contesto ricco di incertezze e rischi per la prima economia di Eurolandia. Da un lato c’è il problema irrisolto delle carenze infrastrutturali, su cui è tornato uno studio realizzato dall’istituto economico Zew per conto della Fondazione delle imprese a conduzione familiare. Nell’elenco dei paesi che offrono le migliori condizioni quadro per le aziende familiari, la Germania figura solo dodicesima. L’Italia si piazza al diciottesimo e ultimo posto, proprio come due anni fa. Il rapporto “documenta un crescente squilibrio tra gli stati della Ue, che porta a divergenze di interessi sempre più forti tra i paesi membri”, ha commentato il presidente della Fondazione, Brun-Hagen Hennerkes, sulla Welt. A frenare Berlino sono il sistema fiscale e l’infrastruttura, non solo dei trasporti, ma anche digitale: in materia di sviluppo della banda larga la Germania è scivolata al quindicesimo posto e viene scavalcata dall’Italia.
In secondo luogo, stando a uno studio di PricewaterhouseCoopers (PwC), la Germania e l’Europa nel suo complesso si avviano a un lento declino economico. La Repubblica federale, oggi quinta economia più grande del mondo, scenderà nel 2050 al decimo posto – e resterà l’unico paese europeo nella top ten delle economie internazionali, dalla quale usciranno sia la Francia (oggi ottava) che la Gran Bretagna (oggi decima). I centri di potere si sposteranno ulteriormente verso l’Asia: la Cina resterà la più grande economia del mondo, mentre l’India scalzerà gli Stati Uniti dal secondo posto. Inoltre la Nigeria sarà il primo stato africano a entrare nella top ten, piazzandosi nona, davanti alla Germania. L’Italia dovrebbe scendere dal dodicesimo al diciottesimo posto. A offuscare l’attuale quadro complessivo, infine, ci sono le incertezze legate al futuro della Grecia e dell’Eurozona. Ieri uno dei padri della moneta unica, l’ex presidente francese Valéry Giscard d’Estaing, ha proposto un’uscita di Atene dall’euro. Una “friendly exit”, l’ha definita.
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