Uomini dell'esercito ucraino durante la ritirata da Debaltsevo (foto LaPresse)

Con questo governo non vinceremo mai, dicono i soldati ucraini

Daniele Raineri

Aria pesantissima tra le truppe di Kiev dopo la disfatta di Debaltsevo. Berlino e Parigi fanno finta di nulla

Roma. L’inviato del giornale inglese Independent, Oliver Carroll, descrive la differenza tra il morale euforico dei separatisti ucraini vittoriosi a Debaltsevo e quello  desolato dei soldati ucraini che si sono ritirati di fronte alla potenza di fuoco incomparabilmente superiore dei nemici – gentilmente provvista dai russi. I primi fanno giri della vittoria in jeep per le strade della piccola ma strategica città. Debaltsevo è affacciata sull’autostrada che corre fra le due enclave separatiste più famose del Donbass, Donetsk e Luhansk, ed è la chiave per ulteriori avanzate. I secondi, i vinti, sono sul limite dell’ammutinamento e delusi dal governo centrale di Kiev che considerano troppo debole, troppo attento alle apparenze, corrotto e non in grado di vincere la guerra. Non è la prima corrispondenza ucraina a riferire di questo stato d’animo tra le truppe di Kiev, informazioni simili circolano da tempo. Ma la ritirata di febbraio da Debaltsevo potrebbe essere più significativa nella storia di questa guerra di quel che si pensa – anche perché arriva dopo l’inizio di tregua entrata in vigore domenica scorsa (in teoria) e negoziata da Angela Merkel e François Hollande in persona con Putin, a Minsk.

 

Il presidente ucraino Petro Poroshenko ha preso un aereo per andare a salutare i soldati, chiamandoli “gli eroi che ritornano”, ma i suoi ufficiali guardano le cartine e temono che i separatisti filo russi e i russi filo separatisti si stiano preparando a un affondo militare fino alla città di Mariupol’, sulla costa – già bombardata il mese scorso. La città è minacciata perché se cade si apre un collegamento di terra tra il confine russo e la Crimea – già annessa dalla Russia un anno fa.

 

Poroshenko ha celebrato la ritirata, “una dimostrazione di forza da parte dell’esercito ucraino che prova che non c’era alcun assedio”. I soldati rispondono al corrispondente con disprezzo per il presidente: lo abbiamo ringraziato, per avere negato che ci fosse un assedio, per averci equipaggiati così bene, per questo cessate il fuoco, e lo abbiamo ringraziato per averci mandato là come carne nel tritacarne”. I soldati sono soprattutto furenti – scrive Carroll – per le dichiarazioni dell’esercito che parlano di 13 morti e 157 feriti durante la ritirata. I morti sono stati “chiaramente centinaia”. Gli ufficiali all’ospedale  locale rifiutano di confermare l’entità delle perdite e si parla di soldati rimasti dentro l’accerchiamento. Nikolai Gemon, un comandante del 128° reggimento, dice che di una colonna di dodici mezzi soltanto uno  è riuscito a scappare, gli altri sono stati presi sotto il fuoco e i soldati sono stati costretti ad abbandonarli e a tornare indietro a piedi. Il Times di Londra ha titolato ieri sulle “migliaia di morti, mentre la tregua collassa”.

 

Germania e Francia, che in teoria dovrebbero essere garanti del cessate il fuoco, non hanno reagito all’assalto dei russi/filorussi, sostenendo che l’importante è la tregua che reggerà dopo la ritirata da Debaltsevo – senza comprendere (o senza dare importanza al fatto) che questo tipo di sconfitte ha il potenziale per seminare tra i soldati l’umore da cui nascono gli ammutinamenti e sconfitte più durature. Edward Lucas, editorialista di European Voice, riassume la violazione dell’accordo di Minsk numero due – il primo si era disintegrato a settembre – citando Tucidide e sua la storia della guerra nel Peleponneso: “Il forte fa ciò che vuole e il debole soffre quel che deve”.

 

[**Video_box_2**]Se Berlino e Parigi non reagiscono nella speranza di uno seguito più tranquillo del confronto, due giorni fa il ministro della Difesa inglese, Michael fallon, durante un viaggio in Sierra Leone, ha detto ai giornalisti che la Russia è un pericolo reale e imminente per i paesi baltici, Lituania, Estonia e Lettonia. La Nato, dice Fallon, dovrebeb essere pronta a qualsiasi tipo di aggressione russa, soprattuuto nella forma della guerra “clandestina” o “speciale” già usata in Ucraina. Il ministro inglese si riferisce a quel misto di intervento con truppe anonime, appoggio ai gruppi locali e propaganda che finora ha dato a Mosca un vantaggio incolmabile su Kiev e sugli sponsor occidentali. “Non è una nuova Guerra fredda, perché a me pare piuttosto calda. Quando ci sono carri armati e blindati che attraversano il confine ucraino e c’è una guardia di confine estone catturata e non ancora riconsegnata, quando ci sono jet che volano sulla Manica e sottomarini nel mare del Nord, a me sembra che la situazione si stia scaldando”.

 

I cecchini dei servizi russi

 

Ieri era anche l’anniversario del giorno più violento della ribellione contro il presidente Viktor Yanukovich cominciata in modo pacifico nel novembre 2013 e poi finita a febbraio fra violentissimi scontri di piazza  – che hanno portato alla situazione di crisi attuale. Ieri il capo dell’intelligence ucraina (Sbu), Valentyn Nalyvachenko, ha accusato Vladislav Surkin, uno dei consiglieri più ascoltati di Putin e per questo soprannominato “il Cardinale grigio” di avere diretto i cecchini che un anno fa hanno sparato a dimostranti e forze dell’ordine in piazza dell’Indipendenza a Kiev.

 

La questione dei cecchini – che uccisero almeno settanta persone – è un punto centrale e controverso nella narrativa della crisi. I russi danno credito alla versione che sostiene sia stata un’operazione di cecchini della Cia americana, ora il governo ucraino accusa l’Fsb, l’intelligence russa, di avere mandato i suoi agenti – in tre riprese, tra novembre a febbraio – per disperdere le proteste, fino all’epilogo violento. “Abbiamo i nomi, i complici, i numeri dei passaporti, le date di ingresso e di uscita”. Un bel reportage della Bbc inglese due settimane fa raccontava un punto che non è in discussione: anche i manifestanti spararono contro le forze dell’ordine, ma la responsabilità sul resto dei morti è ancora controversa.

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  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)