Vladimir Putin (foto LaPresse)

Con questi separatisti non governeremo mai, dicono in Russia

Anna Zafesova

Al G20 a Brisbane Vladimir Putin ha  consigliato a un'attonita Angela Merkel  la sua ricetta cecena per placare i separatisti del Donbass: soldi e autonomia

Milano. La faccia da duro di Alexandr Zakharchenko campeggia in manifesti appesi in tutta Donetsk, mentre il “premier” della autoproclamata Repubblica popolare nonostante la ferita alla gamba entra a Debaltsevo per insediare un suo fedelissimo come nuovo sindaco. Insieme al suo collega di Luhansk Igor Plotnitsky, Zakharchenko è stato uno dei protagonisti della maratona negoziale di Minsk, facendosi convincere da Vladimir Putin a firmare una tregua che ha violato poche ore dopo. Per molti, un gioco delle parti tra il puparo e le sue marionette. Ma i due potrebbero anche star diventando dei Frankenstein in rivolta. Anche perché il loro padrone non può ordinargli di suicidarsi.

 

Al G20 a Brisbane Vladimir Putin ha  consigliato a un'attonita Angela Merkel  la sua ricetta cecena per placare i separatisti del Donbass: soldi e autonomia. A parte i costi, monetari e politici, di riportare sotto la mano di Mosca Ramzan Kadyrov, i cui guerriglieri scorrazzano oggi per Donetsk, non è chiaro quanto questa soluzione sia praticabile nel Donbass. Qualunque guerriglia finisce facendo fuori gli irriducibili e promettendo un futuro anche nella pace agli altri. Nel caso di Zakharchenko e soci però l'offerta non può che essere molto bassa: alle sue marionette Mosca ha fatto fare il lavoro più sporco, sono loro che si accollano la responsabilità del Boeing abbattuto, dei civili sequestrati e uccisi, dei saccheggi e delle minacce di far morire di fame i soldati ucraini accerchiati. La promessa di Poroshenko di un'amnistia totale ha già suscitato l'ira di mezza Ucraina.

 

Non è detto nemmeno che i leader separatisti siano in vendita. La nomenclatura e  gli  oligarchi  del  Donbass, quasi tutti uomini dell'ex presidente Yanukovich, non sono andati con i russi, anzi, molti di loro si sono opposti ai separatisti. Non per fedeltà alla nazione ucraina unita, ma per il banale ragionamento che i russi avrebbero preteso la loro parte. Per accendere la miccia della guerra gli “omini verdi” di Mosca hanno dovuto affidarsi, nella vecchia tradizione bolscevica, a quelli che avevano da perdere solo le loro catene. Zacharchenko nella vita precedente era un tecnico in miniera. Plotnitzky possedeva una pompa di benzina. Denis Pushilin è un ex agente di una finanziaria-catena di Sant'Antonio. Putin ironizza che gli ucraini vivono male la sconfitta a Debatsevo, “anche perché inflitta da uomini che fino a ieri erano minatori e trattoristi”. Ma questi guerriglieri il cui potere si basa solo sul kalashnikov regalato da Mosca non sono una classe dirigente che può sopravvivere alla guerra per diventare pacati amministratori di “alcuni distretti delle regioni di Luhansk e Donetsk”, come prevedono i patti di Minsk. Il modello di Dayton non è praticabile per l'Ucraina, sia perché non si tratta di un conflitto etnico bensì politico, sia perché non c'è un Izetbegovic dall'altra parte. Al massimo dei Mladic.

 

Gli occidentali premono su Putin perché fermi i “suoi figli di puttana”. Una soluzione sarebbe garantire a Zakharchenko e soci un salvacondotto verso una dacia a Mosca. Che però non vuole avere in casa questi eroi del nazionalismo russo, e infatti ha richiamato in patria e messo la museruola a Igor Strelkov, il primo comandante della guerriglia diventato troppo popolare. Per gestire i separatisti, e dargli un'immagine più civile, il Cremlino si prepara ad affidarli a Mikhail Markelov, ex deputato della Duma tra i più attivi nel sostenere il regime (e paradossalmente fratello di un avvocato ucciso da un gruppo di nazionalisti russi), che curerà i rapporti con il Donbass. In altre parole, Mosca non si ferma. L'economia costringe Putin ad andare a Minsk e cedere su molti fronti, la politica però gli impedisce di arrendersi. Lo stesso presidente russo dimostra di ragionare in questi termini quando dice agli ucraini che “perdere è sempre brutto” e gli consiglia di posare le armi. E’ la linea rossa di Poroshenko, che non può regalare ai russi un altro pezzo di Ucraina, rischiando non solo la poltrona ma la prospettiva di un Donbass-2 a Odessa e Kharkiv.

 

L'Ucraina non può fermarsi perché si sta giocando la sopravvivenza. Putin non si può fermare perché i russi non gli perdonerebbero una resa. I separatisti non si possono fermare perché con la pace sono morti. A meno che l'occidente non trovi un modo per far sembrare la resa di Putin una vittoria, e comprare la sconfitta dei separatisti, si andrà avanti con la “guerra ibrida” in attesa che il Cremlino crolli. O che qualcuno lo faccia crollare.  Gli oligarchi putiniani sotto sanzioni si lamentano di non vedere più le famiglie che vivono in Europa (e che evidentemente non vogliono venirli a trovare a Mosca). I loro soldi, le scuole dei loro pargoli, le loro case e i loro sogni sono a Londra e a Miami. Seguendo il ragionamento fatto da Putin a Merkel, anche l'élite moscovita potrebbe essere in vendita, soprattutto ora che le casse del Cremlino si stanno prosciugando. La domanda è quanto costerà, e se è più conveniente comprarla o aspettare i saldi.