Ecco "Jovanotti 2015cc". Il nuovo album di Lorenzo è un micromondo che avremmo preferito più piccolo
La crescita, il cambiamento, la tendenza a certe malinconie, il senso di una storia lunga alle spalle e soprattutto le responsabilità, che a quella storia viaggiano appese. Il Jova che diventa grande, un disco sull’età e sulle relative perplessità nell'Italia del primo ministro ragazzino.
“Jovanotti 2015cc” è il disco con cui il suo titolare approderà ai fatidici 50 anni d’età, da cui non è lontano. Inutile sorvolare su questo aspetto, che occupa spesso i ragionamenti di chi è diventato grande: la crescita, il cambiamento, la tendenza a certe malinconie, il senso di una storia lunga alle spalle e soprattutto le responsabilità, che a quella storia viaggiano appese. Noi - in sostanza. Forse è arbitrario attribuire a Lorenzo l’intenzione di aver fatto un disco sull’età e sulle relative perplessità, ma pare proprio ciò che ha fatto. Del resto invecchiare essendo Jovanotti presenta i suoi problemi, nel paese col primo ministro ragazzino. Magari viene voglia di accentuare quei look con cui di recente lo vediamo immortalato, bizzarri e sciamannati, da Basquiat nostrano.
Lorenzo Jovanotti con Matteo Renzi
Perciò Jovanotti, per riflessione o per istinto, s’è presentato all’appuntamento con un lavoro che ha alcune caratteristiche bene in vista. A cominciare dal principio della quantità, un dato quasi provocatorio: 30 brani, gruppi di canzoni suddivisibili in filoni, o catalogabili per tipo d’interpretazione, dall’intimista al pamphlettistico. E’ il micromondo di Lorenzo, il suo carrozzone per tutte le stagioni. Evidentemente l’aspetto del “tanto” l’affascina. Strano, perché mica è obbligatorio. Mica per definizione Jovanotti deve allagarci di suoni ogni volta che si riaffaccia. Ma allora perché? Perché non, magari, solo 10 pezzi, connessi da un ragionamento, composti in un quadro, predisposti a un consumo “qualsiasi”. Un album “normale”, con cui fare amicizia.
Un’ipotesi è che il disco Jovanotti l’abbia concepito soprattutto per se stesso, per domare i suoi interrogativi e le sue cangianti temperature emotive. Ha lavorato duro e ciò che ora ascoltiamo non è un unico Jovanotti, ma vari, in diversi momenti di vita e stati d’animo. Poi ha licenziato il tutto con un packaging snob, coi video, la personal tv e i corredi mediatici che fanno capo al sistema di comunicazione di cui dispone (un’altra recente alluvione: i 30-remix-30 di “Sabato”, come se le cose, nella sua poetica, ora si sovrapponessero, aziché elidersi). Infine ha pubblicato un disco godibile, in cui però ci sembra più solo di prima e in cui celebra questa condizione con un filo di ironia e un impercettibile tic di autocommiserazione (quella foto di copertina, quella faccia interdetta, i riflessi dell’altro grande invecchiante: Valentino 34). Se per assurdo l’avesse chiesto a noi fedelissimi, gli avremmo detto che ci sarebbe piaciuto un disco più “piccolo” – pochi pezzi, pochi musicisti, grande unitarietà. Un tuffo e una risalita. Una traiettoria. Una storia o due, non cento. Ovviamente fichissima – come sa fare lui, se non si smarrisce tra gli editoriali.
Tanta abbondanza di materia, invece, dà la sensazione del già sentito. Le canzoni sono spesso belle e cantate con stile, però corrono sul posto, perfino “Un bene dell’anima” che sarà un grande singolo e ha quel paraculissimo sassofono loureediano. Riflettendoci: questa constatazione di staticità, vale anche per i migliori veterani tra i colleghi di Lorenzo? Non ci giurerei. Ma forse perché siamo stati noi a investirci emotivamente di meno. La partecipazione che alcuni di noi hanno connesso alla musica e alla descrizione esistenziale di Jovanotti, potrebbe aver logorato il rapporto, proiettandolo al passato.
“2015cc” è una doccia di jovannottitudine. L’ascolti e resti perplesso da tanta volontà. Ma quella ‘scintilla’ che lui evoca nel titolo di una canzone, alla fine non scocca. Anche se “2015cc” si occupa di tutto ed è un disco molto visuale, che sembra passare prima per gli occhi di Lorenzo, che per il suo piede che porta il tempo. Ci sono numerose sciccherie musicali nell’album: citazioni “colte”, ammiccamenti, vari capitoli della sua esplorazione del ritmo globalizzato, un niagara di versi, figure, fotogrammi. E poi quell’invocazione della natura attorno, quella comunione, quella voglia di abbracciarla e annullarsi in lei, sublimando la vita in un immenso sentimento. La sensazione è d’essere al cinema, a vedere i film girati dalla fantasia di Lorenzo, quel che l’ha commosso o gli ha trasmesso un’agnizione, il suo gusto per i particolari, per certe miserie e debolezze, per certe inquietudini che non si placano.
Jovanotti un certo giorno creò un capolavoro. Come e perché sia successo è semplice e sta nella sua natura. Era il suo momento speciale e il capolavoro consisteva nell’essere qualcosa che nessun’altro era stato prima. Cosa? Un intrattenitore ragazzino, un narratore popolare, un pionieri del rap, un cantante strano, una voce, un amico. Sopra ci metteva il sorriso contagioso, una caparbia ostinazione, un individualismo affascinante e un’aura di predestinazione. Per questo è diventato un personaggio unico, che nessun’altro aveva. Bisognava essere italiani per capirlo, bisognava aver ricevuto un’educazione uguale alla sua. Il cosiddetto luogo comune, no? Il che ha condannato le prospettive internazionali che la sua carriera avrebbe meritato. Ma, per ripagarlo, l’ha reso enorme in tante camerette, qui da noi.
[**Video_box_2**]La cosa su cui stiamo ragionando perciò non è l’interesse musicale e l’apprezzabile qualità di questo lavoro: è la sua rilevanza. Rilevanza che non è pretesa da Jovanotti, ma che gli viene attribuita da parte nostra, abituati a usare questo cantante come il page turner di una storia collettiva. Lui è stato il prodotto di uno stato mentale, impadronendosi della descrizione di una storia in cui tanti si sentivano rappresentati. Un gran transfert, in coda al quale la normalizzazione artistica di Jovanotti è un piccolo choc culturale. Anche se lui è ancora qui, lotta insieme a noi e ogni sua ripartenza è contemplabile. Ma la sensazione è che quella rilevanza sia impallidita, rimasta agganciata a un altro momento storico. Il che è umano e capita continuamente. Solo che con Jovanotti la constatazione è più sorprendente. E per certi versi più dolorosa (per carità, sempre parlando di canzonette. Il fatto è che il tempo passa, e queste benedette canzonette continuano a contare più di altre cose, che legittimamente dovrebbero contare di più. Restano a galla e non si estinguono. E chi le canta, resta per noi il vero poeta di questi tempi).
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