Tra Bach e iTunes
Janine Jansen, la violinista che ha cambiato il mercato della musica classica rendendolo pop (non solo perché è bella). Nasce nel 1978 vicino a Utrecht da una famiglia di musicisti. Fatica a esprimersi, e impara a farlo con la musica.
Alta, occhi azzurri, fisico slanciato. Sguardo penetrante e rassicurante. Una presenza decisamente notevole Janine Jansen, ma non solo. Nel 1978 Soest, piccola città vicina a Utrecht, nei Paesi Bassi, dà i natali a un talento brillante in una “culla” prestigiosa: una famiglia di musicisti – il papà organista, la mamma famosa cantante d’opera e i fratelli entrambi violinisti. Janine cresce in una casa piena di strumenti, immersa nei concerti domestici. Così sboccia il suo talento. A sei anni abbraccia il primo violino. Non lo lascerà più se non per scambiare due calci al pallone con qualche piccolo coetaneo. Le lunghe serate passate a suonare la musica da camera con i genitori e i fratelli e le lezioni del suo primo maestro Coosje Wijzenbeek le fanno scoprire che la musica è l’unico mezzo per esprimersi pienamente. Non riesce con le parole ma con il suono sì. Capisce che la musica la ridona a sé come nessun’altra cosa. Un’esperienza da un lato disarmante, dall’altro totalizzante che troverà la consacrazione nel suo primo recital pubblico all’età di dieci anni.
Che la sua sarebbe stata una carriera importante è subito evidente, sin dall’invito a suonare al Royal Concertgebouw, il teatro per eccellenza in Olanda e palco tra i più autorevoli al mondo. Diciannove anni e una sicurezza da veterana. Un talento che a qualcuno già ricorda i grandi nomi del passato. Qualche anno dopo l’incontro con Vladimir Ashkenazy, folgorato dal suo modo di suonare: “Secondo me, questa giovane donna ha tutto”.
La consacrazione internazionale arriva nel 2005 con una registrazione delle “Quattro Stagioni” di Vivaldi che rappresenta un caso quasi unico nella storia musicale dei nostri tempi. L’allora vicepresidente di Decca Records, Jonathan Grube, lo definì un “fenomeno digitale”: le vendite dell’album “fisico” aumentavano di pari passo con i download su iTunes grazie non solo agli appassionati di classica ma a tantissimi “profani”. “Leggevo i loro commenti – ha raccontato al New York Times – e capivo che molti di loro non avevano mai visto un clavicembalo nella loro vita. La loro reazione di fronte alla musica di Vivaldi e alla mia esecuzione mi lasciava attonita”. Janine diventa “regina del download” anche se a stento conosce iTunes, come spiega all’Independent: “E’ molto strano. Non ho mai avuto un iPod perché non ho tempo per riempirlo e ascoltare musica. Con il passare degli anni ho acquistato un MacBook che, devo riconoscere, mi ha cambiato la vita”. La gente trovava in quell’esecuzione delle Stagioni vivaldiane una freschezza e una novità di lettura che una certa prassi filologica soffocava.
La Jansen riesce infatti a riproporre oggi l’antico illuminandone gli aspetti oscuri, senza forzature. Molti detrattori giustificano quel successo soltanto grazie alla capacità dell’ufficio marketing di Decca. Sembra che accostare a meravigliose foto della Jansen il click per il download del disco sia stata una trovata geniale. L’artista è colta in pose seducenti, poggiata su una poltrona con il violino quasi dietro le spalle oppure distesa su un tappeto noncurante dello strumento. E’ però riduttivo costringere un fenomeno musicale di questo tipo nelle sole pose e negli occhi ammalianti. Statuaria, sinuosa. Vero. Jan Vermeer l’avrebbe sicuramente dipinta. Questo però non basta per sfondare come solista. Lo sa bene Vanessa Mae, presunta stella del violino coetanea della Jansen, che dopo alcuni tentativi nei circuiti della musica classica che conta, approda alla techno-classica per poi “ripiegare” sulle Olimpiadi di Sochi come sciatrice per la Thailandia.
Parlando con il Foglio del talento di Janine Jansen, Francesca Dego, giovane violinista italiana, racconta: “Sono cresciuta con i dischi della Jansen e da subito l’ho trovata una solista completa. E’ una dei pochi che mi piacciono veramente in tutto: dal Barocco sino al pieno Novecento, basti solo ascoltare la sua pazzesca registrazione del concerto per violino e orchestra di Benjamin Britten. La sua forte personalità nell’interpretazione unita al rigore, attraggono l’ascoltatore dalla sua parte. Convince in qualsiasi repertorio grazie a un suono splendido. Lei è quello che dovrebbe essere un solista: capace di prendere per la gola l’ascoltatore dal punto di vista musicale e dello spettacolo. Non parlo dell’aspetto fisico, di cui tutti straparlano, ma della capacità di riempire il palcoscenico con il suo carisma. In questo momento è la solista ideale, un fenomeno unico nel suo genere”. Le sue esecuzioni stupiscono per la perfezione tecnica ma anche perché risultano scevre da ogni elemento sentimentale o fine a se stesso. Velocità, intonazione e precisione accompagnano una rapidità di riflessi che le permette di aggirare i vincoli fisici del suo strumento. Così non le è precluso alcun repertorio. E’ completamente dedicata al violino e alla musica. Si sente subito. Non c’è nessun infingimento. Serve la musica con il dono del suo talento. Janine è unica anche nel rapporto con l’orchestra. Una qualità rara perché molte volte i grandi solisti tendono a pretendere che l’orchestra sia lì ad accompagnare e basta, un po’ sterilmente. Invece per lei è un dare e avere. “Un solista deve farsi abbracciare dall’orchestra con cui suona”, ama infatti ricordare. E lei, quando ci suona insieme, fa musica da “camera”.
Proprio la musica da camera rappresenta una delle sue più grandi passioni. L’educazione domestica e la varietà delle partiture, spingono Janine ad approfondire, sin dagli albori dei suoi studi, il repertorio cameristico con violino, collaborando con musicisti quali il pianista Itamar Golan, il violinista Boris Brovtsyn, il violista Amihai Grosz o il violoncellista Mischa Maisky. Questo interesse darà vita a un festival di musica da camera a Utrecht che ogni anno vede la presenza dei migliori musicisti e di giovani promesse provenienti da tutto il mondo. Tra le sue più belle e discusse esecuzioni di musica da camera troviamo l’incisione del “Verklärte Nacht” di Arnold Schönberg e il “Quintetto per archi in do maggiore” di Franz Schubert tutti racchiusi in un disco, sempre firmato Decca. Un programma impaginato in maniera geniale e fortemente voluto dalla violinista, che comprende il “Sestetto D. 956”, l’ultimo pezzo di musica da camera scritto da Schubert e completato poche settimane prima della sua morte nel 1828. Dall’altra l’op. 4 di Schönberg che rappresenta uno dei suoi primi lavori di rilievo ed è composto nel 1899, ultimo saluto al XIX secolo. Anche in questo caso la Jansen osa senza timore e raccoglie i migliori risultati dal giudizio del pubblico. Il disco rimane per molti mesi tra i primi dieci per vendite in Olanda e i suoi concerti registrano il sold out in tutte le date europee, compresa quella alla Wigmore Hall di Londra, sala da concerto tra le più prestigiose e intransigenti.
Con il passare degli anni e l’aumentare della fama, la Jansen calca i palcoscenici di mezzo mondo, spostandosi da un luogo all’altro senza sosta. I suoi numerosi recital hanno il compito di ispirare le persone. “Sono fortunata, il mio mestiere mi permette di incontrare profondamente la gente. Quando ho qualche giorno di riposo tra un concerto e l’altro, mi dico: sarebbe bello fermarsi almeno due giorni qui. Questa nostalgia scompare appena atterro in un altro posto”.
Janine ha un legame particolare con l’Italia. Ama la sua storia e il suono delle orchestre: cantabile come se fosse voce umana. Nei recital romani, che terrà da stasera con l’Orchestra di Santa Cecilia (dell’Accademia, per inciso, è stato appena nominato presidente Michele dall’Ongaro) spicca l’esecuzione del “Concerto per violino e orchestra” di Brahms. Un rapporto particolare la lega a questo lavoro. Il “Concerto op. 77” fu scritto nel 1878, esattamente cento anni prima della nascita della Jansen. La partitura è caratterizzata da un ampio respiro sinfonico, ricchezza di melodie e un tono radioso e amabile, anche nel terzo movimento dove la vena popolare è dirompente. Una pietra miliare del repertorio per violino. Un concerto complesso non solo dal punto di vista tecnico ma anche emotivo: per gli esecutori è molto difficile mantenere la tensione dall’inizio alla fine. “Quando eseguo questo brano – ha detto la Jansen in un’intervista a Rai 5 – mi rendo conto della sua straordinarietà. E’ dedicato a un grande violinista (Joseph Joachim, ndr) e scritto con la consapevolezza di tutte le possibilità dello strumento stesso. Suonando questo meraviglioso pezzo non ho la sensazione di essere una solista, ma mi sento parte dell’ensamble. Il dialogo è continuo tra la solista e le varie sezioni, in particolare con i fiati. In molti tratti Brahms riesce a esprimere al pieno il senso della musica che, in fondo, è il senso della vita”.
Il 2010 è un anno importante. Janine vive uno dei periodi più intensi dal punto di vista concertistico. Anni folli con concerti ogni sera in posti diversi e programmi sempre più impegnativi. “Quando spingi al massimo e sei sul palco – ha detto al Wall Street Journal – non noti che il tuo fisico ti sta dando dei segnali. Ti sembra sempre di poter scalare l’Everest. E’ la musica a spingerti avanti. Poi arriva un momento in cui il corpo ti dice: basta, non ne ho più!”. Janine è preda di un esaurimento fisico che non le permette nemmeno di riabbracciare il violino. Da un giorno all’altro il suo corpo statuario sembra posseduto da un torpore. I mesi sono difficili, grigi, lenti. Janine inizia un lungo percorso di riposo ma anche di riflessione sulla sua vita, sulla sua carriera.
Tre mesi di concerti cancellati senza dare troppe spiegazioni e il dubbio che quella strada sia finita lì. Un male oscuro che però la Jansen pian piano affronta con la stessa veemenza con cui afferra le corde dello Stradivari. Ritornerà a novembre dello stesso anno con il disco “Beau Soire”, un viaggio tra le più suggestive pagine di musica francese accompagnata da un booklet di foto che ritraggono la Violinista in splendida forma. A confermare il ritorno sulle scene, l’uscita nello stesso anno del film documentario “Janine” diretto dal regista olandese Paul Cohen. Un progetto nato molti anni prima quando Cohen ascoltò nel Conservatorio di Utrecht una delle migliori allieve di Philippe Hirschhorn. Il regista rimase estasiato dal suono cristallino, dalla musicalità naturale e senza pretese. La voce del suo violino e il viso di quella splendida quindicenne accompagneranno discretamente la vita di Cohen facendo crescere in lui il desiderio di renderla protagonista di un film. Passano quattordici anni e finalmente nel 2007 hanno inizio le riprese. Janine è molto impegnata perché nello stesso anno registra le “Invenzioni” e la “Partita n. 2” di Bach. Il progetto l’entusiasma e si coinvolge con la solita passione. “Man mano che andavamo avanti con le riprese – racconta al Foglio Paul Cohen – mi sono reso conto del suo grande talento di fronte alla telecamera. Suonava e il suo corpo irradiava musica. Il fluire delle sue espressioni e della sua bellezza sono oro per il cinema. Ogni volta che la mia macchina fotografica si soffermava su di lei, ero invaso dalla sua intensità”. Nel film Janine parla pochissimo: il suo linguaggio è la musica, quindi viene spesso ripresa o nei concerti o nella vita al di fuori della musica. La parola invece è affidata a tutte le persone a lei più vicine che ne raccontano gli aspetti più quotidiani. Il film inizia con un campo lungo su di lei che non sta suonando: è l’introduzione del “Concerto per violino” di Beethoven. E’ ferma, attorniata dall’orchestra. Il suo corpo e la sua anima sono dentro la musica. Il successo del film e la bellezza del disco la riporteranno nuovamente in giro per il mondo suonando il suo Stradivari. Più consapevole dei suoi limiti ma ancor più dentro la musica. La sua vita.
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