Nel libro del guru di Obama c'è il segreto di Rahm Emanuel
“Cinquecento dollari? Lo sai cosa mi stai dicendo, no? Che non te ne frega niente di Israele! Sono imbarazzato io per te a dover accettare questi soldi”. E’ la primavera del 1984 a Chicago e l’allora ventiquattrenne Rahm Emanuel, sta lavorando al fund raising della campagna per un seggio al Senato americano di Paul Simons.
Milano. “Cinquecento dollari? Lo sai cosa mi stai dicendo, no? Che non te ne frega niente di Israele! Sono imbarazzato io per te a dover accettare questi soldi”. E’ la primavera del 1984 a Chicago e l’allora ventiquattrenne Rahm Emanuel, oggi sindaco in scadenza della stessa città, sta lavorando al fund raising della campagna per un seggio al Senato americano di Paul Simons, un democratico che scalda non poco i cuori di un manipolo di giovani liberal riformisti cresciuti a politica, giornali e corse elettorali. Che non a caso, complice il talento che li porterà lontano, finiscono a lavorare per lui. Fra loro c’è David Axelrod, il fine stratega che ha contribuito, coordinandole, sia alla cavalcata di Barack Obama nel 2008 sia a quella della riconferma, nel 2012. L’aneddoto sul giovane Emanuel instancabile raccoglitore di fondi, Axelrod lo svela in “Believer”, librone di cinquecento pagine appena pubblicato, dove l’ex stratega di Obama racconta la sua vita, tutta vissuta dalle parti della politica. Dapprima come cronista, poi da protagonista delle campagne elettorali organizzate, in tutto più di centocinquanta: dall’amico Barack, “uno a cui sono soprattutto affezionato”, indietro fino a quei giorni di Chicago.
Trentuno anni dopo, oggi la città sul lago Michigan si appresta a eleggere il proprio sindaco; i sondaggi hanno pochi dubbi nel dare molto favorito Rahm Emanuel. In carica già dal 2011, il sindaco si era candidato nel 2010 sulla scia di un biennio come chief of staff di Obama. Vincendo, ovviamente. La sua amministrazione, a leggere i commenti, pare sia risultata finora abbastanza incolore: i record in città sono tutti negativi, i dati su occupazione e criminalità restano così così, l’elettorato non lo ama, la stampa locale ancora di meno (“Facciamo un favore a Chicago, non lasciamo che Rahm diventi sindaco”, è il titolo dell’editoriale di domenica del Chicago Tribune). Eppure l’unico dubbio è se Emanuel sia in grado di farcela già questa notte, superando il 50 per cento dei voti, o se debba aspettare il secondo turno ad aprile. In pratica, non dovrebbe esserci partita. Questo, sostengono alcuni commentatori sui giornali americani, ha molto a che fare proprio con l’Emanuel anni 80, l’incredibile fund raiser raccontato da Axelrod. Questa volta Emanuel ha raccolto, secondo il Tribune, ben 15 milioni di dollari di cui ben sette sono andati in spot televisivi: più di centocinquanta ore di spazio sulle televisioni locali. Nel nominare gli altri quattro candidati sul New York Times, in un pezzo cattivello su Emanuel, la scrittrice Megan Stielstra ha commentato: “Vale la pena elencarne i nomi qui perché questo sarà praticamente l’unico spazio che avranno sulla stampa nazionale”.
[**Video_box_2**]Freddezza del mondo liberal e dei concittadini a parte, è utile leggere Axelrod per capire cos’altro sta dietro a questa apparente solidità di Emanuel e dei suoi. E’ anche e soprattutto la storia di una città dove la poca alternanza politica dagli anni 50 in poi si è giocata all’interno del Partito democratico e dove Richard Joseph Daley e suo figlio Richard M. Daley hanno regnato la bellezza di 43 anni su 56 complessivi dal 1955 al 2011. Una città e la sua storia politica che sono stati una palestra di consenso, un luogo dove le battaglie locali hanno incontrato la storia (il record del primo sindaco afroamericano, Harold Washington, ad esempio). In “Believer” c’è tutto questo, in un equilibrio scientifico fra ideali e racconto della macchina politica. Mancano alcuni classici della letteratura di genere, quel gossip postumo che ti fa capire che poi tutto così bene non andava: “Non volevo scrivere un libro il cui successo si misurasse dalle rivelazioni uscite su Politico”, ha detto Axelrod al New York magazine. Curiosità: una delle poche increspature riguarda proprio Axelrod e Emanuel, con quest’ultimo che, alla Casa Bianca, ricorda urlando al primo che il governo e le campagne elettorali sono due cose differenti. A Chicago lo sono un po’ meno.
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