Addio Sony di gloria
Tra vendite e spinoff, il gigante giapponese rischia di trasformarsi nella compagnia che fa “solo” la Playstation. Era un impero dell’elettronica, oggi i suoi mille prodotti ci stanno tutti in tasca.
Quando il cinquantenne Kazuo Hirai si presentò al mondo come ceo e presidente di Sony, nell’aprile del 2012, salì sul palco durante un evento organizzato per l’occasione a Tokyo e disse che per la sua compagnia “il tempo di cambiare è adesso”. “Io credo che Sony possa cambiare”, aggiunse. Allora Sony era un gigante dell’elettronica che stava attraversando una profonda crisi, esistenziale ancora prima che di profitti. Hirai si è ripresentato sul palco la settimana scorsa, esattamente tre anni dopo. Nel frattempo Sony non è uscita dalla crisi, che non ha fatto che peggiorare. Hirai ha presentato un nuovo piano di ristrutturazioni per riportare l’azienda in attivo. Entro il 2017, ha detto Hirai ottimista, i profitti aumenteranno di 25 volte. Ma alla fine del processo, a giudicare dalle dichiarazioni di Hirai, Sony avrà smesso di essere una compagnia di elettronica.
Hirai prevede che entro il 2017 il profitto operativo di Sony arriverà a 500 miliardi di yen, 4,2 miliardi di dollari. Il profitto nell’ultimo anno è stato di appena 20 miliardi di yen, circa 170 milioni di dollari. Per ottenere questo risultato, che sarebbe il migliore dal 1998, anno d’oro della compagnia, il ceo vuole che Sony si concentri solo sui settori produttivi che generano guadagni. Ma a generare guadagni, dentro a Sony, ormai è rimasto ben poco. Hirai ha individuato tre pilastri di crescita per Sony: l’industria cinematografica, con la filiale Sony Pictures che è già autonoma a livello amministrativo (è lo studio che a dicembre ha subìto un terrificante attacco hacker legato al film “The Interview”), la produzione di sensori per le macchine fotografiche, dove Sony è ancora leader del settore (produce i sensori della fotocamera degli iPhone, per esempio) e, soprattutto, la console Playstation, l’unico prodotto che non ha mai smesso di generare grossi guadagni.
Tolti i tre pilastri, tutto il resto è sacrificabile. E questo, per un gigante dell’elettronica che produceva di tutto, dalle radiosveglie ai computer, vorrà dire trasformarsi in un’azienda nuova, e più settoriale. Sony ha dismesso, e poi venduto, la sua divisione di produzione dei computer oltre un anno fa. Sempre un anno fa, ha smembrato dal corpo centrale della compagnia il business della produzione di televisori, e la settimana scorsa ha staccato e trasformato in una filiale autonoma anche i settori audio e video. Hirai è tornato a parlare mercoledì, e ha annunciato il probabile spin off anche dei settori delle batterie e dei microchip. Spesso questi spin-off sono il preludio a una vendita o a una dismissione, come è successo per la divisione dei computer. Il ceo ha detto mercoledì che “dividere delle unità di una compagnia non significa vendere o ritirarle dal mercato”, ma appena pochi giorni prima aveva rivelato che Sony “non esclude una exit strategy” dalla produzione di televisori e smartphone. La produzione delle tv, ha spiegato Hirai mercoledì, deve generare guadagni per poter rimanere dentro alla compagnia. Visti i trend dell’ultimo decennio le prospettive sembrano nere. Ma chi riesce a immaginare una Sony che non vende più stereo e tv?
Sony potrebbe trasformarsi nella compagnia della Playstation. Da gigante della tecnologia, ubiquo nelle nostre vite fino a pochi anni fa, potrebbe diventare una cosa per ragazzini o per gamer incalliti. Ai mercati questa soluzione piace: nel corso del 2014, ha scritto l’Economist questa settimana, il valore delle azioni della compagnia è cresciuto dell’80 per cento. Ma abbandonare tutta l’elettronica, le tv e gli smartphone (cosa che per ora Sony ha solo ipotizzato di fare) e trasformarsi nella compagnia della Playstation e dei sensori (con una filiale cinematografica americana) significa per Sony ammettere la propria sconfitta. Sony tornerà a generare profitti, diventerà più piccola e concentrata, ma la grande corsa per il dominio del mondo della tecnologia, in cui fino a 15 anni fa Sony sembrava in vantaggio, sarà persa per sempre.
Fino a quindici anni fa Sony era la migliore compagnia di elettronica e tecnologia del mondo. Aveva inventato il Walkman, e la rivoluzione sociale che si era sviluppata intorno a esso, ma bastava che si nominasse qualsiasi prodotto di elettronica perché qualcuno ti dicesse: “Compra un Sony. Costa di più ma è il migliore”. I televisori Trinitron erano i migliori (oggi alzi la mano chi ha ancora a casa una tv Sony). I portatili Vaio erano così sofisticati e belli che una volta Steve Jobs si disse pronto a farci girare sopra il suo sistema operativo OsX, esclusivo ai computer Apple. I robot domestici Aibo erano quello che oggi è la macchina che si guida da sola per Google: una dimostrazione di strapotere tecnologico. Ma i meravigliosi Vaio sono stati dismessi un anno fa, i robot Aibo hanno smesso di essere costruiti nel 2006, e i Walkman di ultima generazione sono prodotti di nicchia per audiofili, con costi proibitivi e vendite ridicole. Oltre che nella tecnologia Sony ha perso terreno anche nel design, di cui negli anni novanta era il campione, e nella riconoscibilità del marchio. Sony non è più un brand di culto, e se ogni teenager degli anni 90 possedeva almeno un paio di prodotti della compagnia (il Walkman, ma anche le radio, gli stereo, le tv, le macchine fotografiche), è possibile che un teenager di oggi un prodotto Sony non l’abbia mai preso in mano.
E’ un declino che si legge anche nei numeri. Nel 2000 il valore di mercato della compagnia era stimato intorno ai 100 miliardi di dollari. Nel 2012, nel momento più buio della crisi economica globale, era crollato a 14 miliardi. Oggi è risalito a 20, segno che il lavoro di Hirai sta pagando, ma che Sony resta comunque la pallida imitazione di quello che era un tempo – soprattutto considerando il periodo di forte crescita che le compagnie del tech hanno conosciuto in questi anni, con Apple che ha appena sfondato il muro dei 700 miliardi di dollari di capitalizzazione di mercato. Negli ultimi anni Sony ha conosciuto un calo delle quote di mercato in tutti i settori in cui è attiva, incalzata dai giganti tecnologici coreani, come Samsung e Lg, dai nuovi player cinesi, come Huawei e Xiaomi, e dal risorgere delle compagnie americane, Apple per prima. Playstation ed entertainment sono tra le poche eccezioni. Questa crisi, inoltre, ha provocato negli anni migliaia di esuberi, che potrebbero aumentare con il nuovo piano del ceo Hirai.
[**Video_box_2**]In un articolo dello scorso settembre, il Financial Times scriveva: “I guai di Sony risiedono nella sua incapacità negli ultimi anni di far uscire un prodotto ‘Wow’”. Sony, è vero, negli ultimi 15 anni è stata incapace di creare un prodotto che stabilisca lo standard dell’industria, come l’iPhone di Apple. Ma a ben guardare, di prodotti “Wow” Sony ne ha costruiti molti. La Playstation, ovviamente, che ha vinto dopo un decennio la lunga guerra di posizione contro l’XBox di Microsoft nel mondo dei videogiochi. Ma Sony produceva lettori di ebook eccellenti molto prima che Amazon se ne uscisse con il suo Kindle. Nel campo della fotografia professionale, è la compagnia più innovativa e avanzata (anche se le quote di mercato sono minime). I suoi fondatori avevano immaginato in tempi non sospetti l’importanza di mettere insieme la tecnologia digitale con la fruizione dei contenuti. E, ovviamente, la casa che produceva il Walkman era molto meglio piazzata di Apple quando Steve Jobs presentò l’iPod. Se i tentativi di Sony non hanno avuto successo, la colpa è delle molte scelte strategiche sbagliate, e dell’incapacità di comprendere la concorrenza. Gli esperti additano anche un software mai all’altezza dell’ottimo hardware, una scarsa, e celebre, coordinazione tra i vari settori dell’azienda, e piattaforme mai in grado di soddisfare gli utenti. Si pensi a iTunes: Sony non ha mai creato un software così.
Ma la crisi di Sony, la crisi esistenziale di Sony, che che ha spinto Hirai a trasformare l’azienda nella (possibile) compagnia della Playstation, ha un altro colpevole. Ne abbiamo tutti uno in tasca, è lo smartphone. I business su cui Sony prosperava soddisfavano una serie di bisogni definiti: ascoltare musica, scattare foto, girare e guardare video, ascoltare la radio, puntare la sveglia. Per ciascuno di questi bisogni, Sony aveva un prodotto, spesso eccellente: il Walkman e gli stereo, le macchine fotografiche, le videocamere e le televisioni, le radio portatili, le sveglie e gli orologi digitali. Ma oggi tutte questi bisogni, nessuno escluso, sono soddisfatti dagli smartphone, che scattano foto, ci fanno ascoltare la musica, la radio, e incidentalmente telefonano. E’ normale che una nuova tecnologia ne renda obsoleta un’altra, è il principio dell’innovazione, ma che una sola tecnologia, lo smartphone, soppianti completamente tutti i prodotti di una delle aziende più grandi e innovative del settore è quasi incredibile. La gloriosa Sony degli anni Novanta oggi possiamo averla quasi tutta in tasca, e l’ironia è che questo nuovo compendio dei business della Sony, lo smartphone, quasi mai è un prodotto Sony.
La dirigenza della compagnia è consapevole da tempo di questi problemi. Ancora un anno fa, il ceo Hirai inseriva tra gli obiettivi strategici di Sony la crescita nel settore mobile. A settembre, presentando il nuovo smartphone di alta gamma dell’azienda, Hirai prometteva che presto Sony sarebbe diventata il terzo produttore di smartphone al mondo dopo Apple e Samsung. In pochi mesi le sue promesse spavalde si sono trasformate in una ritirata disastrosa (nell’ultimo anno il settore mobile di Sony ha perso circa 1,7 miliardi di dollari), ma sono testimonianza di un problema ben chiaro. Appena nominato ceo, Hirai coniò per la compagnia un nuovo slogan, “One Sony”, e il suo significato era: trasformeremo Sony in un’unica compagnia, dove tutti i nostri vecchi prodotti saranno racchiusi in uno smartphone, e visto che eravamo i migliori con i nostri vecchi prodotti, domineremo anche il mercato degli smartphone. Sony sapeva che il suo successo passava dagli smartphone, e ci ha provato, a conquistare il mercato. Ha costruito cellulari con fotocamere pazzesche, con schermi incredibili, cellulari impermeabili. Ma Sony, come Nokia, è stata bloccata da Apple nella fascia alta del mercato e dai player cinesi e coreani in quella bassa. E perso il mercato degli smartphone, Sony ha perso tutto. Alla compagnia che un tempo dominava il mercato della tecnologia, orgoglio dell’industria giapponese, oggi restano in attivo soltanto la Playstation, i sensori e Sony pictures – hacker permettendo.
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